RUOLO DI AMMINISTRATORE E DIPENDENTE NELLA SOCIETA’ COOPERATIVA

RUOLO DI AMMINISTRATORE E DIPENDENTE NELLA SOCIETA’ COOPERATIVA

giovedì 16 giugno 2022

Con sentenza n. 36362/2021, la Corte di Cassazione - non prefigurando orientamenti “innovativi” - ha sostenuto che "in tema di imposte sui redditi sussiste l'assoluta incompatibilità tra la qualità di lavoratore dipendente di una società di capitali e la carica di presidenza del CdA o di amministratore unico della stessa”, qualora “il cumulo nella stessa persona dei poteri di rappresentanza dell'ente sociale, di direzione, di controllo e di disciplina rende impossibile quella diversificazione delle parti ... che è necessaria perché sia riscontrabile l'essenziale ed indefettibile elemento della subordinazione, con conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente”.

 

Ulteriormente, “la compatibilità della qualità di socio amministratore, membro del CdA di una società di capitali, con quella di lavoratore dipendente della stessa società, ai fini della deducibilità del relativo costo dal reddito di impresa, non deve essere verificata solo in via formale, con riferimento esclusivo allo statuto e alle delibere societarie, occorrendo invece accertare in concreto la sussistenza o meno del vincolo di subordinazione gerarchica al potere direttivo e a quello disciplinare e, in particolare, lo svolgimento di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale rivestita”.

 

In buona sostanza, in linea di principio non v’è compatibilità fra ruoli - distinti - di lavoratore dipendente della società e di amministratore unico o di presidente del CdA della medesima; tranne, come analogamente sostenuto dalla Cassazione nell’altra recente sentenza n. 38017/2021, nell’ipotesi in cui può essere accertata l’effettiva subordinazione del lavoratore che partecipa anche al CdA.

 

Questa è, nei fatti, la possibile soluzione percorribile anche dalle società cooperative, ove, fra l’altro, è ormai obbligatorio da tempo un CdA., ed ove, per l’appunto, secondo la Corte di Cassazione, la prestazione di lavoro è - "in tema di imposte sui redditi” - accettata, anche se cumulata ai poteri di direzione, di controllo e disciplina, caratteristici dell’incarico di consigliere d’amministrazione; qualora sia garantita la subordinazione del lavoratore, che, pur costituendo il CdA, è sottoposto a una controparte sovraordinata.

 

Nel caso in cui, al contrario, non si evidenzi detta subordinazione, la collocazione ambivalente di amministratore impedisce alla società di dedurre dal reddito d’impresa l’indennità pattuita per ricompensarne le funzioni; che, infatti, risulta attirata nella gestione fiscale di lavoratore. Dall’altra parte, la collocazione ambivalente di lavoratore procura il disconoscimento dei contributi previdenziali versati, a titolo di lavoro dipendente, dalla società amministrata. Tali importi, attirati nella gestione separata dei contributi da versare in qualità di amministratore, danno luogo anche alla maturazione di sanzioni e interessi per ritardato versamento.

 

Invece, detta subordinazione è, ad esempio, verificata quando, nonostante la coincidenza di ruoli, il lavoratore subordinato è “nel concreto” assoggettato a un “effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare”, svolgendo, in ambito lavorativo, mansioni diverse da quelle di direzione e controllo dell’impresa amministrata.

 

Nel messaggio n. 3359/2019 l’Inps sostiene, analogamente alla Cassazione, che il lavoro prestato alle dipendenze della società - verificata l’effettiva subordinazione - è compatibile con la qualifica di consigliere d’amministrazione della medesima. In buona sostanza, è sufficiente che fra le mansioni previste dal contratto di lavoro non siano comprese quelle propriamente inerenti all’attività di amministratore dell’impresa. Anche in questo caso non si rileva alcuna “innovazione” rispetto al passato. Già in precedenza l’Inps, nel messaggio n. 12441/2011, aveva, infatti, sostenuto che “può essere ammessa la compatibilità” dell’incarico di amministratore della società cooperativa con il ruolo di lavoratore subordinato, “ogni qual volta ricorrano congiuntamente le seguenti condizioni:

 

1. “Il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato a un organo diverso (CdA o amministratore unico[1])”;

2. “il presidente svolga, in concreto e nella veste di lavoratore dipendente, ai sensi dell’articolo 1, comma 3, L. 142/2001, mansioni estranee al rapporto organico con la cooperativa, contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale”.

 

Aldilà dei vincoli già verificati "in tema di imposte sui redditi”, va tenuta presente la specialità della forma giuridica cooperativa, ove, ai sensi dell’articolo 2542, cod. civ., i propri soci devono formare la maggioranza del CdA. Non solo. Essi, in qualità di cooperatori, devono mantenere un legame mutualistico di scambio effettivo con la società della quale presiedono la gestione[2]; da valutare poi ogni anno in riferimento ai criteri notoriamente previsti dal codice civile[3].

 

Quindi, per esempio, i soci di cooperativa di produzione lavoro[4] – o di cooperativa sociale e di lavoro – dovendo formare la maggioranza del CdA, ne sono legittimati se, prima di tutto, risultano legati alla società da “un ulteriore e distinto rapporto di lavoro”, che possono avere costituito anche “successivamente all'instaurazione del rapporto associativo”.

 

Appare chiaro quindi, per i motivi già citati, che il potere “diretto a formare la volontà dell’ente” di amministrazione, direzione, controllo e disciplina della cooperativa, affidato ai predetti soci – nonché, eventualmente, a terzi[5], analogamente impiegati, come lavoratori subordinati, in funzione degli scopi mutualistici – debba escludere la gestione del personale.

 

Accade, infatti, che la gestione tecnico-amministrativa, particolarmente complessa nell’impresa cooperativa medio-grande, come, all’opposto, la gestione estremamente semplificata dal punto di vista organizzativo, nell’impresa cooperativa di piccole dimensioni, renda necessario, perfino naturale, accorpare, nella medesima figura di lavoratore, l’incarico di amministratore.

 

In tal caso, premesso che l’amministratore – socio, o non che sia – deve, chiaramente, svolgere mansioni estranee a quelle che, invece, ne contrassegnano il lavoro subordinato, si verifica che il costo di lavoro dipendente che l’amministratore presta in forma tradizionale è deducibile dal reddito d’impresa, a partire dal momento in cui “dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale”. È necessario, però, che l’importo in questione sia conteggiato separatamente da quanto, eventualmente, pattuito per l’amministrazione della società, a titolo di ulteriore indennità di funzione convenuta per il ruolo di consigliere. Medesimo trattamento si ha poi, in riferimento a “i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale”, qualora l’intervento dell’amministratore di cooperativa, specializzato nella gestione tecnica dell’impresa e munito di deleghe speciali, presupponga, eccezionalmente, “mansioni estranee al rapporto organico con la cooperativa”, “contraddistinte dai caratteri tipici della subordinazione”.

 

Fra l’altro, il costo di lavoro dipendente, oltre a essere deducibile dal reddito della cooperativa, deve essere compreso, verosimilmente, nel computo della mutualità, ai sensi degli articoli 2512 e 2513, cod. civ.. Così come dev’essere compreso nel conteggio mutualistico il costo relativo all’ulteriore indennità di funzione, che, analogamente, è deducibile dal reddito della società in base al principio di cassa.

 

Il compenso convenuto con l’amministratore, versato dalla società a titolo retributivo, non richiede particolari accorgimenti per gestirne l’importo separatamente; a meno che quanto convenuto con l’amministratore per l’incarico specialistico che svolge come lavoratore subordinato preveda un’ulteriore indennità di funzione; da comprendere, verosimilmente, anche questa, nel conteggio della mutualità, ai sensi degli articoli 2512 e 2513, cod. civ..

 

Ancora, medesimo trattamento si ha nell’ipotesi in cui il lavoratore subordinato, munito di cariche sociali che esercita con poteri delegati di firma, presta la propria attività di lavoro subordinato nella forma speciale e “attenuata del lavoro dirigenziale”, necessariamente soggetta, pur in forma tenue, alle direttive, agli ordini e ai controlli della cooperativa intesa come datore di lavoro.

 

Per questo motivo, il costo di lavoro dipendente, oltre a essere deducibile dal reddito della società, dovrà essere compreso anche nel conteggio della mutualità, ai sensi degli articoli 2512 e 2513, cod. civ, come pure deve avvenire per il compenso convenuto con l’amministratore, versato dalla cooperativa a titolo retributivo e gestito separatamente.

 

[1] Figura che, come risaputo, è stata successivamente soppressa dall’articolo 1, comma 936, L. 205/2017 (Legge di Bilancio 2018).

[2] Mise, nota n. 5457/2020.

[3] Articoli 2512 e 2513, cod. civ..

[4] Articolo 1, comma 3, L. 142/2001.

[5] Articolo 2521, cod. civ..