Giurisprudenza del lavoro

Giurisprudenza del lavoro

Patto di non concorrenza. Contenuti obbligatori e condizioni per la sua validità

Cassazione. Ordinanza 23723/2021 pubblicata il 1° settembre

martedì 23 novembre 2021

Il patto di non concorrenza è disciplinato dall’articolo 2125 del Codice Civile: l’accordo tra datore e lavoratore richiede una serie di requisiti in assenza dei quali è invalido.

Innanzi tutto, l’obbligo di non concorrenza, deve essere contenuto, a pena di nullità, in un atto scritto. È necessario un corrispettivo a favore del lavoratore di ammontare proporzionato al “sacrificio” richiesto in seguito alla cessazione del contratto di lavoro. Il vincolo deve essere contenuto entro determinati limiti di oggetto (l’attività vietata deve essere individuata nel patto), di tempo (è necessario indicare il periodo di vigenza dell’obbligo di non concorrenza) e di luogo (bisognerà definire i confini territoriali del patto).

La durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti e a tre anni per gli altri lavoratori. Se le parti estendono il patto oltre i limiti definiti dalla normativa in vigore, la durata prevista contrattualmente sarà automaticamente ridotta entro il tetto massimo fissato dalla legge. Il patto può essere stipulato sia contestualmente all’assunzione, sia in costanza di rapporto.

Per la validità del patto, secondo la Cassazione occorre osservare i seguenti criteri:

  • il patto non deve limitarsi a indicare le mansioni svolte dal lavoratore nel rapporto, ma può riguardare qualsiasi prestazione lavorativa che possa competere con le attività del datore di lavoro, da identificare in relazione a ciascun mercato nelle sue oggettive strutture, ove convergano domande e offerte di beni o servizi identici o comunque idonei a soddisfare le esigenze della clientela dello stesso mercato;
  • non deve essere di ampiezza tale da comprimere l’esplicazione della concreta professionalità del lavoratore in termini che ne compromettano ogni potenzialità reddituale;
  • sul corrispettivo, il patto non deve prevedere compensi simbolici o manifestamente iniqui o sproporzionati in rapporto al sacrificio richiesto al lavoratore e alla riduzione delle sue capacità di guadagno, indipendentemente dall’utilità che il comportamento richiesto rappresenta per il datore di lavoro e dal suo ipotetico valore di mercato (Cassazione, ordinanza 23418 del 25 agosto 2021).

Dopo aver richiamato i suesposti criteri, la Cassazione con l’ordinanza n. 23723/2021 ha stabilito  la che una clausola del patto in cui sia eventualmente previsto che il datore si riserva di decidere alla risoluzione del rapporto se avvalersi delle limitazioni che derivano dal patto stesso è sempre nulla e comporta, in ogni caso, il diritto al compenso previsto per il lavoratore.