Giurisprudenza del lavoro

Giurisprudenza del lavoro

giovedì 26 agosto 2021

Macchinario privo dei presidi di sicurezza e responsabilità del cedente

Corte di Cassazione Sentenza n. 28160 del 21 luglio 2021

 

Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione sancisce che la responsabilità per le lesioni colpose ai danni di una lavoratrice, consistenti nell’amputazione di quattro dita, è addebitata sia al datore di lavoro sia all’imprenditore che ha ceduto in affitto il macchinario privo dei presidi di sicurezza. Infatti, quest’ultimo, in quando cedente, era tenuto a garantire la conformità del macchinario alle norme infortunistiche e di sicurezza.

 

Il silenzio dell'amministratore sul compenso non significa rinuncia al dovuto

Corte di cassazione. Ordinanza 21172/2021

 

Secondo la Cassazione il silenzio o l'inerzia dell'amministratore, anche se prolungati nel tempo, da soli non sono sufficienti a integrare una effettiva rinuncia al compenso per la carica sociale svolta.

Il caso ha riguardato un dirigente, che accumulava su di sé anche la carica di amministratore delegato, è stato licenziato per giusta causa. Impugnato il licenziamento, ha rivendicato anche il pagamento di tutti gli emolumenti (mai corrisposti dalla società) per la carica sociale ricoperta per circa tre anni e mezzo.

La Cassazione, chiamata in causa dal lavoratore, ha ricordato che per aversi rinuncia tacita è necessario un comportamento concludente del creditore che riveli, in modo univoco, l'effettiva e definitiva volontà dismissiva del diritto. Pertanto, al di fuori dei casi in cui vi sia un onere a far espressamente salvo il diritto, il silenzio o l'inerzia del creditore non possono essere interpretati come manifestazione (tacita) della volontà abdicativa, anche perché la rinuncia non può essere oggetto di mere presunzioni.

Per accertare l'avvenuta rinuncia è pertanto necessario desumere l'atto abdicativo non dalla semplice mancata richiesta dell'emolumento, ma da ulteriori circostanze di fatto che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto.

 

Sospensione del lavoratore non vaccinato se considerato inidoneo

Tribunale di Roma. Ordinanza del 28 luglio

 

Se il medico competente esprime, a fronte di una lavoratrice che non si è sottoposta  al  vaccino contro il virus, un giudizio di parziale inidoneità con la conseguenza la dipendente «non può essere in contatto con i residenti del villaggio»,  la sospensione, nella verificata assenza di altre mansioni disponibili, è una misura necessaria.

Il Tribunale di Roma (ordinanza del 28 luglio) ha affermato che, in questo caso, la sospensione non è una misura disciplinare disposta a fronte del rifiuto della lavoratrice alla vaccinazione. Si tratta, invece, di un provvedimento cui il datore è tenuto a salvaguardia della salute della stessa dipendente e degli ospiti del villaggio, secondo quanto previsto dall’articolo 2087 del Codice civile.

Il giudice rimarca che sul lavoratore, in base all’articolo 20 del Dlgs 81/2008, incombe l’obbligo di salvaguardare la propria salute e quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, cooperando con il datore per l’adempimento delle misure dirette a garantire la protezione collettiva e individuale.

Rimane confermato che  il datore di lavoro può essere informato dal medico competente che il dipendente non può operare a diretto contatto con le altre persone ma non deve essere, al contempo, informato sul fatto che questo giudizio è frutto della decisione di non vaccinarsi.

 

 

Legittimo il licenziamento del lavoratore che rifiuta di indossare la mascherina

Tribunale di Trento. Sentenza dell'8 luglio 2021

 

È legittimo il licenziamento disciplinare (per giusta causa) irrogato nei confronti di un'insegnante che si è ripetutamente rifiutata di indossare la mascherina protettiva durante il servizio scolastico.

Nel caso di specie l'insegnante, alle dipendenze della Provincia autonoma di Trento, aveva manifestamente espresso il proprio rifiuto a ottemperare alla disposizione di servizio emanata dalla dirigente del servizio attività educative, che la invitava a utilizzare la mascherina protettiva al fine di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei bambini, dei colleghi e dell'intera comunità scolastica. A sostegno del proprio rifiuto, nel corso della sua audizione durante il procedimento disciplinare, la lavoratrice adduceva, da un lato, di non voler indossare la mascherina in quanto «obiettrice di coscienza» e, dall'altro, di essere impossibilitata a farlo per ragioni di salute. Licenziata per giusta causa, proponeva quindi ricorso dinanzi al giudice del lavoro di Trento, avanzando domanda di reintegra.

Il Tribunale, non rinvenendo tra le allegazioni della lavoratrice alcuna certificazione medica idonea a giustificare il rifiuto di indossare la mascherina, rilevava inoltre che la condotta dell'interessata si poneva in aperto contrasto con le linee di indirizzo per la tutela della salute approvate dal presidente della Provincia autonoma di Trento con ordinanza del 25 agosto 2020 e, a livello nazionale, dal Protocollo d'intesa siglato dal ministero dell'Istruzione il 6 agosto 2020, prescrivente l'obbligo «per chiunque entri negli ambienti scolastici» di «adottare precauzioni igieniche e l'utilizzo di mascherina».

Sotto un profilo giuridico, secondo il Tribunale di Trento, i predetti atti e provvedimenti amministrativi troverebbero idoneo fondamento anche nella volontà del legislatore (articolo 16, comma 1, del Dl 18/2020), che considera le mascherine un dispositivo di protezione individuale. Al riguardo, richiamando precedenti orientamenti della Cassazione (25932/2013 e 18265/2013), il giudice  ricorda come «il persistente rifiuto da parte del lavoratore di utilizzare i dispositivi di protezione individuale giustifica il licenziamento intimato all'inadempiente».

Inoltre,  sotto il  profilo oggettivo, la condotta della lavoratrice si sarebbe posta in contrasto con le disposizioni previste dall'articolo 20, comma 1 e comma 2 lettera d) del Dlgs 81/2008 (Testo Unico Sicurezza sul Lavoro) che impongono al lavoratore di prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro utilizzando i dispositivi di protezione individuale messi a disposizione del datore di lavoro.

 

Che valore hanno le FAQ della P.A.?

Consiglio di Stato. Sentenza n. 1275 del 20 luglio 2021

 

Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato ha fornito il proprio parere sull’uso che le Amministrazioni Pubbliche fanno delle FAQ ( Frequently Asked Questions). Queste ultime, sempre più spesso, si trovano nei siti delle Pubbliche Amministrazioni ove, senza alcuna firma e senza altri riferimenti, forniscono indicazioni su temi particolarmente importanti.

Il Consiglio di Stato osserva che:

A) le FAQ sono sconosciute all’ordinamento giuridico;

B) non possono essere, in alcun modo, equiparate a circolari o pareri scritti, in quanto non c’è la firma dei responsabili o dei curatori e non costituiscono obbligo nemmeno per le amministrazioni che le hanno emesse.

Se un utente, tuttavia, ha adottato un comportamento seguendo le indicazioni della FAQ emessa da una amministrazione e presente, al momento della presentazione dell’istanza, sul sito istituzionale, l’amministrazione ha il dovere di ottemperarvi: ovviamente, sarebbe opportuno fotografare le FAQ nel momento in cui le si utilizzano, atteso che, sovente, le Amministrazioni le cambiano.