L’Istituto ricorda che la giurisprudenza della Corte di cassazione si è uniformata al criterio generale in base al quale l’incarico per lo svolgimento di un’attività gestoria, come quella dell’amministratore, in una società di capitali non esclude astrattamente la configurabilità di un rapporto di lavoro subordinato (fatte salve alcune eccezioni). La carica di presidente, in sé considerata, non è incompatibile con lo status di lavoratore subordinato poiché anche il presidente di società, al pari di qualsiasi membro del consiglio di amministrazione, può essere soggetto alle direttive, alle decisioni ed al controllo dell’organo collegiale. A questo fine non rileva che al presidente sia conferito potere di rappresentanza della società.
Per l’amministratore unico della società (figura peraltro incompatibile con la società cooperativa), invece, opera l’incompatibilità con lo status di lavoratore subordinato in quanto detentore del potere di esprimere da solo la volontà propria dell’ente sociale, come anche i poteri di controllo, di comando e di disciplina. Per l’amministratore delegato la valutazione sulla compatibilità tra i due rapporti è legata alla portata della delega conferita dal consiglio di amministrazione. Se l’ad è munito di delega generale con facoltà di agire senza il consenso del cda vi è incompatibilità.
Per quanto riguarda il lavoro dirigenziale vengono individuati specifici elementi di verifica: l’assunzione con la qualifica di dirigenti, il conferimento della carica di direttore generale da parte dell’organo amministrativo nel suo complesso (e lo svolgimento effettivo delle relative mansioni), la cessazione del rapporto mediante licenziamento, il coordinamento dell’attività lavorativa all’assetto organizzativo del datore di lavoro, l’assoggettamento, anche se in forma lieve o attenuata, alle direttive e agli ordini del datore di lavoro ancorché il lavoratore mantenga un effettiva autonomia decisionale, la caratterizzazione delle mansioni (diverse dalle funzioni proprie della carica rivestita e non rientranti nelle deleghe).
Riportiamo di seguito la parte finale del messaggio che riassume le condizioni di compatibilità tra i due rapporti:
• che il potere deliberativo (come regolato dall’atto costitutivo e dallo statuto), diretto a formare la volontà dell’ente, sia affidato all’organo (collegiale) di amministrazione della società nel suo complesso e/o ad un altro organo sociale espressione della volontà imprenditoriale il quale esplichi un potere esterno;
• che sia fornita la rigorosa prova della sussistenza del vincolo della subordinazione (anche, eventualmente, nella forma attenuata del lavoro dirigenziale) e cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
• il soggetto svolga, in concreto, mansioni estranee al rapporto organico con la società; in particolare, deve trattarsi di attività che esulino e che pertanto non siano ricomprese nei poteri di gestione che discendono dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli siano state conferite.