Ai sensi dell’articolo 1, comma 3, L. 142/2001, “il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore e distinto rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali”. Gli “scopi sociali” delle cooperative di lavoro consistono principalmente in prestazioni lavorative rese da soci cooperatori, i quali, essendo muniti di caratteristiche personali e professionali tali da legittimarne l’adesione alla società, contribuiscono, in questo modo, a realizzare l’attività d’impresa, in attuazione dello scambio mutualistico previsto dallo statuto.
Lo scopo mutualistico consistente nello svolgere attività d’impresa in un contesto cooperativo, quindi con l’obiettivo principale di procurare ai soci lavoratori un impiego stabile e continuativo, trova la propria giustificazione sociale nei principi etici, culturali e solidaristici, dei padri costituenti (articolo 45, Costituzione), i quali riconobbero alla forma giuridica d’impresa cooperativa requisiti idonei, anche per fornire occasioni di lavoro direttamente “ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato” [Relazione del Ministero di grazia e giustizia al codice civile del 1942].
La disciplina in materia cooperativa, con particolare riferimento alla categoria di socio lavoratore [L. 142/2001, succ. mod.], è applicata obbligatoriamente a tutte le società cooperative nelle quali l’oggetto dello scambio mutualistico si sostanzia nell’attività lavorativa che il socio svolge in relazione agli scopi mutualistici d’impresa. La società cooperativa individua, nel lavoro, lo scopo mutualistico, pur in un contesto produttivo rigido che al pari della generalità di imprese esige principi e regole precise di funzionamento. Ciononostante, la cooperativa è capace di instaurare con i propri soci un ulteriore rapporto di lavoro, non distinto da quello - prevalente e strumentale - di carattere associativo [L. 30/2003], tramite il quale effettua materialmente l’attività che ha previsto nello statuto. Procurando occasioni di lavoro stabili e continuative ai propri soci, la cooperativa produce benefici diretti e indiretti alle persone che risiedono nella comunità a cui appartiene.
In tale contesto, ossia “nel rispetto del principio di autonomia e prevalenza del rapporto associativo rispetto al rapporto di lavoro”, si colloca la Nota n. 5457/2020, con cui l’allora Mise specificava, per quanto concerne i requisiti fondamentali di rilevanza associativa e lavorativa dei legami giuridici effettivi che intercorrono tra cooperativa e socio: “la cessazione del rapporto di lavoro per recesso datoriale non implica automaticamente il venir meno del rapporto associativo, ben potendo e dovendo il soggetto partecipare alla vita dell’impresa e alle relative scelte, anche al fine di contribuire alla ricerca di nuove occasioni di lavoro”. La sussistenza ininterrotta dei predetti requisiti societari, di carattere associativo e mutualistico - leggasi lavoristico - viene fra l’altro richiesta dalla disciplina speciale, non solo alla cooperativa di produzione lavoro, anche alla cooperativa sociale (L. 381/1991, succ. mod.) e di lavoro, laddove lo scopo mutualistico d’impresa, che consta ugualmente nel procurare ai soci occasioni di lavoro stabili, sottende l’obiettivo complementare di erogare servizi d’interesse generale a beneficio della comunità, negli ambiti di interesse generale e di utilità sociale previsti dalla legislazione vigente.
In pratica, dalla società cooperativa che, per scelta, si prefigge lo scopo mutualistico di procurare ai soci stabili occasioni di lavoro, ci si può quantomeno aspettare un patrimonio di requisiti tali da renderne la gestione capace di conservare i legami associativi con i lavoratori, soprattutto nell’ipotesi in cui il ripetuto rapporto di lavoro, pur cessato a causa d’impedimenti oggettivi, possa essere ricostituito in tempi ragionevolmente rapidi. Per un verso, la società cooperativa, al pari della generalità di imprese, raccoglie opportunità d’impresa, sia, mirate allo sviluppo produttivo, sia, mirate alla crescita gestionale, di cui beneficia il tessuto economico e sociale nel quale detta cooperativa sviluppa i propri processi aziendali, senza, per altro verso, perdere di vista lo scopo mutualistico di procurare occasioni durature di lavoro per i soci, nonché di salvaguardarne, per quanto possibile, i livelli occupazionali.
Con queste premesse, la differenza che contraddistingue le società cooperative dalla generalità delle imprese risiede nella scelta libera di assumere un “onere supplementare” a beneficio della comunità dei residenti, che orienta percorsi imprenditoriali strettamente aderenti a principi mutualistici di solidarietà sociale. Non guasta precisare, da questo punto di osservazione, che lo status di lavoratore, socio di cooperativa di lavoro – la quale, per restare sul mercato, è parimenti obbligata ad amministrare la propria azienda in base a criteri comuni di economicità gestionale, anche per quanto concerne la mano d’opera impiegata – è parificato, dal punto di vista retributivo e contributivo, a quello di lavoratori impiegati in imprese non cooperative. Nello specifico, le società cooperative devono assicurare, ai soci, una retribuzione complessivamente commisurata alla “quantità e qualità del lavoro prestato, non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, ai compensi medi in uso per prestazioni analoghe, rese in forma di lavoro autonomo” [La circostanza che la cooperativa applichi ai propri soci cooperatori uno o più fra i contratti di lavoro sottoscritti dall’organizzazione sindacale comparativamente più rappresentativa al livello nazionale – tramite i quali attua completamente agli istituti contrattuali previsti – dissolve, automaticamente, eventuali incertezze sulla correttezza del trattamento economico che viene riconosciuto ai soci lavoratori].
La formula estensiva adottata dall’articolo 1, comma 3, L. 142/2001, oltre a prevedere il ricorso a forme caratteristiche d’inquadramento lavorativo, di tipo subordinato o di tipo autonomo, ammette razionalmente la possibilità di attivare tipologie alternative d’impiego, non limitate alla forma parasubordinata. Per stabilire la praticabilità di inquadramento contrattuale del socio lavoratore in una cooperativa munita di scopo mutualistico di lavoro si deve, in buona sostanza, verificarne il carattere non occasionale; persino una prestazione di lavoro resa saltuariamente, per ipotesi erogata in un contesto tipicamente stagionale, potrebbe conservare ciononostante i caratteri pur relativi di continuità, a condizione, per esempio, che il medesimo socio venga impiegato di anno in anno dalla stessa cooperativa alla quale aderisce, indipendentemente dalla frequenza e dalla durata dell’incarico. Appare chiara la ragione che impone alla società cooperativa di lavoro di prestare notevole attenzione, se ritiene di ricorrere, pur con moderazione e con estrema cautela, a forme d’inquadramento non occasionali, ulteriori a quelle tradizionali, per non rischiare d’incorrere in pratiche gestionali estranee a esigenze mutualistiche.
In particolare, ai sensi dell’articolo 13, D.Lgs. 81/2015, “il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell'arco della settimana, del mese o dell'anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali”. Per altro verso, ai sensi della ripetuta disciplina, “con l'eccezione dei settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell'arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato”.
L’Inps, con messaggio n. 3981/2011, specifica che lo svolgimento di prestazioni lavorative “intermittenti” può essere regolato dalla società cooperativa esercente attività prevista dal D.P.R. 602/1970, sempreché ricorrano le condizioni previste dall’articolo 34, D.Lgs. 276/2003 [abrogato e sostituito dal predetto D.Lgs. 15 giugno 2015, n. 81, articoli da 13 a 18]. In buona sostanza, la forma odierna di lavoro intermittente può, a parere dell’Inps, inquadrare anche il socio lavoratore, di età inferiore a 24 anni o superiore a 55 anni, con contratto subordinato a tempo indeterminato o determinato [la Corte di Cassazione ha invece affermato che il contratto di lavoro intermittente, ex art. 13 e ss. del D.Lgs. 81/2015, può essere validamente stipulato con un lavoratore che ha meno di 24 anni di età o più di 55 anni, a prescindere dalla natura delle prestazioni da eseguire].