L’email del lavoratore è inviolabile per il datore anche se è salvata sul server aziendale
Corte di Cassazione. Sentenza n. 24204/2025,
La Cassazione ha affermato che l’accesso alle mail dei lavoratori è vietato, pur se rinvenute nel server in uso in azienda o sui pc assegnati per lo svolgimento dell’attività e pur se ciò sia determinato da finalità difensive.
Nel caso giudicato, dopo la cessazione del rapporto, il datore di lavoro aveva provveduto ad acquisire le mail estratte dagli account privati e confluite nel server aziendale, servendosene ai fini probatori. Tuttavia la Cassazione ha dichiarato illegittimo l'utilizzo di tali comunicazioni perché avvenuto in violazione dei concetti di “vita privata” e di “corrispondenza”.
In particolare, gli ex dipendenti non avevano impostato alcuna opzione per ricevere le mail personali sull'applicativo di posta elettronica utilizzato sul pc aziendale, né avevano concesso alcuna autorizzazione in tal senso; d'altra parte, la società non aveva provato di avere impartito disposizioni specifiche volte a disciplinare le modalità di controllo e/o duplicazione della corrispondenza dei lavoratori, dunque le mail non possono essere utilizzate per provare le responsabilità dei lavoratori, seppur esse siano confluite nel server di proprietà del datore di lavoro.
Discriminatorio il licenziamento della lavoratrice perché rischia di rimanere incinta
Corte di Cassazione. Ordinanza n. 24245 del 31 agosto 2025
La Suprema Corte ha confermato la nullità del licenziamento intimato alla dipendente che aveva da tempo manifestato la sua volontà di intraprendere una gravidanza servendosi delle tecniche di PMA. Nello specifico, sulla base di numerosi argomenti logico-induttivi, i Giudici hanno ritenuto che il datore di lavoro, nonostante fosse da tempo a conoscenza dell'intenzione della donna, avesse deciso di licenziare quest'ultima dopo che si era sottoposta alla procedura FIVET (tecniche di fecondazione in vitro), considerato che essa, sulla base dei dati statistici elaborati dal Ministero della Salute sulle percentuali di successo delle tecniche di PMA, ha maggiori probabilità di successo. Mentre in precedenza, quindi, il datore di lavoro sembrava tollerare il rischio di gravidanza, dopo la decisione della dipendente di sottoporsi alla procedura FIVET tale rischio non è stato più tollerato, portando a un licenziamento che, sulla base dei complessivi argomenti a disposizione della Corte, risulta discriminatorio.