La materia dei provvedimenti disciplinari è regolata dal Codice Civile (artt. 2104, 2105 e 2106), dall’articolo 7 dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/1970) e dai singoli contratti collettivi di lavoro. Va precisato che nel corso degli anni l’intervento della giurisprudenza è diventato molto rilevante per la corretta applicazione delle norme disciplinari.
PRESUPPOSTI PER LA VALIDITÀ DELLE SANZIONI DISCIPLINARI
- Predisposizione del codice disciplinare
Per la validità delle sanzioni irrogate, il datore di lavoro ha l’onere di predisporre il codice disciplinare e di portarlo a conoscenza mediante affissione in luoghi accessibili da tutti i dipendenti: si tratta di un presupposto essenziale, in mancanza del quale la sanzione è viziata da nullità assoluta insanabile. È importante ricordare che più volte la giurisprudenza non considera sostitutive all’affissione formule alternative quali la consegna del codice al lavoratore all’atto dell’assunzione o la pubblicazione su una “bacheca virtuale”.
2- Contenuto del codice disciplinare
Nel codice disciplinare devono essere indicate le sanzioni irrogabili, le infrazioni per le quali queste possono essere irrogate e le procedure che devono essere osservate. La legge espressamente impone al datore di lavoro di applicare quanto stabilito in materia dai contratti collettivi: per predisporre il codice disciplinare quindi, è sufficiente fare riferimento alle norme previste dal proprio CCNL in materia di provvedimenti disciplinari, integrandole con gli articoli di legge che dispongono su tale argomento (artt. 2104, 2105 e 2106 c.c.; art. 7 Statuto dei Lavoratori).
Nota bene Nel caso in cui il datore di lavoro intenda predisporre un proprio regolamento aziendale (contenente ad esempio disposizioni relative alle modalità di giustificazione delle assenze oppure in relazione all’utilizzo dei mezzi informatici, etc.), va ricordato che è necessario il suo inserimento nel codice disciplinare: solo in questo modo infatti, i comportamenti vietati dal regolamento potranno essere sanzionati con l’irrogazione di provvedimenti disciplinari.
Nota bene Nel caso in cui la cooperativa di lavoro abbia inserito nel regolamento interno dei soci lavoratori una regolamentazione delle condotte comportamentali ulteriore rispetto a quella prevista dal Ccnl applicato, è necessario integrare con tale disciplina (applicabile esclusivamente ai soci lavoratori) il codice disciplinare generale.
- Pubblicità del codice disciplinare
Il codice deve essere portato a conoscenza mediante affissione dello stesso in un luogo accessibile a tutti i dipendenti: si tratta di una disposizione inderogabile, nel senso che la mancata pubblicità del codice nelle forme previste determina la nullità assoluta della sanzione irrogata.
In riferimento a questo aspetto la giurisprudenza ha osservato che l’affissione del codice disciplinare costituisce l’unico mezzo per portare a conoscenza dei dipendenti le infrazioni punibili ed il tipo di sanzioni irrogabili: qualsiasi altra forma comporta la nullità assoluta della sanzione irrogata, non sanabile nemmeno con la prova dell’effettiva conoscenza del dipendente ottenuta in altro modo.
Non è quindi sufficiente la consegna di una copia del codice a ciascun dipendente, dal momento che in questo modo non si ottiene la comunicazione richiesta espressamente dall’art. 7.
Nota bene Nel caso in cui la cooperativa di lavoro abbia inserito nel regolamento interno dei soci lavoratori una regolamentazione delle condotte comportamentali ulteriore rispetto a quella prevista dal Ccnl applicato, è necessario che il codice disciplinare affisso sia integrato con la disciplina applicabile esclusivamente ai soci lavoratori.
L’affissione deve essere fatta in un luogo accessibile a tutti i dipendenti (es. bacheche aziendali o luogo in cui si timbra il cartellino). La giurisprudenza ha precisato che non sono da considerarsi accessibili da tutti:
- una sede diversa da quella cui è adibito il lavoratore;
- la guardiola del custode;
- la bacheca aziendale di una sola organizzazione sindacale.
L’affissione deve essere continuativa ed ininterrotta nel tempo o quanto meno in atto al momento in cui si verifica la condotta del dipendente che integra l’infrazione disciplinare.
MODALITÀ DI IRROGAZIONE DELLE SANZIONI DISCIPLINARI
La procedura per l’irrogazione delle sanzioni disciplinari si articola nelle seguenti fasi:
- preventiva contestazione del fatto compiuto dal dipendente;
- preventiva audizione a difesa del dipendente (su richiesta dell’interessato);
- irrogazione della sanzione.
- Preventiva contestazione del fatto al dipendente
La contestazione costituisce la condizione di legittimità dell’adozione di un provvedimento disciplinare e deve avere queste caratteristiche:
- può essere fatta dal datore o dai diretti superiori del dipendente resosi colpevole della condotta punibile;
- deve essere formulata per iscritto. Affinché sia valida la procedura disciplinare occorre che la contestazione sia formulata per iscritto indicando in maniera precisa i fatti contestati, essendo radicalmente esclusa la possibilità di una contestazione in forma orale; in difetto nessuna sanzione adottata è legittima.
- deve essere immediata rispetto all’accadimento o alla notizia dello stesso. L’immediatezza va comunque valutata tenendo conto delle necessità di un preciso accertamento dei fatti contestati, nel senso che il datore deve comunque disporre di un margine di tempo adeguato per poter acquisire la certezza tanto sull’esistenza quanto sulla gravità dei fatti stessi (questo discorso vale specialmente per le aziende più grandi, dove la notizia del fatto non perviene subito agli organi decisionali, e per quei fatti che oggettivamente richiedono del tempo per poter essere accertati).
- deve essere fatta pervenire all’interessato in qualunque modo (per lettera R.R. o raccomandata con sottoscrizione per ricevuta, a mano, con consegna da parte di terzo): la contestazione infatti, costituisce un atto di natura recettizia, nel senso che ha valore nel momento in cui viene portata a conoscenza del destinatario.
Il rifiuto da parte del dipendente di ricevere la contestazione scritta di cui conosce il contenuto non inficia la validità della stessa: la giurisprudenza ritiene infatti, che in questo caso trovi applicazione analogica l’art. 138 c.p.c., (“se il destinatario rifiuta di ricevere la copia, l’ufficiale giudiziario ne dà atto nella relazione di notifica e la notificazione si considera fatta in mani proprie”) con la conseguenza che in presenza di un rifiuto del destinatario debitamente certificato la contestazione si reputa comunque ricevuta dallo stesso.
Questo vale sia nel caso in cui il dipendente si rifiuti di ricevere la lettera inviatagli per posta (spetterà al postino certificare il rifiuto di accettazione), sia nell’eventualità che egli si rifiuti di ricevere la lettera consegnatagli a mano.
In particolare, in questa ultima ipotesi, è necessario chiamare dei testimoni (almeno 2 e di carattere neutrale, meglio se dipendenti), facendo attestare loro il rifiuto di accettazione della contestazione da parte del dipendente, dopo aver dato lettura in loro presenza e davanti al lavoratore del contenuto della comunicazione: in questo modo, con la sottoscrizione dei testimoni, trova applicazione l’art. 138 c.p.c.
Nel caso in cui l’indirizzo del dipendente non sia conosciuto o lo stesso risulti irreperibile, è consigliabile l’attivazione della procedura di notificazione per mezzo dell’ufficiale giudiziario ai sensi degli artt. 148-161 c.p.c.: una volta esaurita tale procedura infatti, la lettera notificata si presume per legge conosciuta dal dipendente, con la conseguenza che tale momento decorrono i termini per il datore per adottare i provvedimenti ritenuti opportuni.
- deve essere specifica, nel senso che deve contenere, eventualmente mediante riferimento a precedenti scritti intercorsi tra le parti, l’esposizione puntuale delle circostanze essenziali del fatto imputabile al dipendente: ciò al fine di consentire a quest’ultimo il pieno esercizio del suo diritto di difesa.
Come ha avuto modo di ribadire la giurisprudenza peraltro, nella contestazione non è necessario indicare:
- le norme legali o contrattuali che si ritengono violate;
- le prove che si intendono utilizzare;
- il tipo di sanzione irrogabile (salvo che ciò non sia richiesto dalla contrattazione collettiva).
Nella lettera di contestazione quindi, indipendentemente dal tipo di sanzione che in seguito verrà concretamente irrogata, deve essere specificato in modo chiaro il fatto che viene addebitato al dipendente, indicando tutti i dati che sono necessari od opportuni a chiarire la dinamica del fatto stesso e la situazione in cui esso si è verificato.
- deve indicare espressamente l’eventuale recidiva, quando essa costituisca elemento costitutivo dell’illecito, cioè quando la punibilità del fatto richiede come presupposto la reiterazione dello stesso: in sostanza ciò si verifica soltanto nel caso di licenziamento disciplinare, dal momento che il ripetersi delle mancanze o delle infrazioni da parte del dipendente costituiscono il fondamento del licenziamento stesso. In ogni caso, come espressamente stabilisce l’ultimo comma dell’art. 7 dello Statuto, della recidiva non si può tener conto trascorsi 2 anni dall’applicazione della sanzione disciplinare (o meglio dalla comunicazione della sua irrogazione), salvo il termine più breve eventualmente stabilito dalla contrattazione collettiva.
L’espressa contestazione della recidiva non è invece necessaria nel caso in cui essa costituisca soltanto un criterio per la determinazione della sanzione: in questa ipotesi trova infatti applicazione il principio di gradualità, in virtù del quale in presenza di più infrazioni per fatti analoghi si possono applicare via via sanzioni di maggior gravità.
- la contestazione deve infine essere immutabile, nel senso che fatto contestato e fatto posto a fondamento della sanzione devono sostanzialmente coincidere: questo significa che sono del tutto irrilevanti le circostanze ed i fatti ulteriori non contestati in modo rituale, anche se contestuali concorrenti con quello oggetto della procedura disciplinare (quest’ultimi possono comunque essere addotti in giudizio come confermativi della gravità dell’addebito formalmente contestato).
- Difesa del lavoratore
L’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori stabilisce che il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l'addebito e senza averlo sentito a sua difesa. Entro il termine di 5 giorni dalla contestazione, il lavoratore ha facoltà di presentare le proprie giustificazioni per iscritto oppure in forma orale (la cd. audizione a difesa) avvalendosi, se lo ritiene opportuno, dell’assistenza di un rappresentante sindacale.
Va precisato che non vi è obbligo per il lavoratore di presentare giustificazioni scritte; il lavoratore ha il pieno diritto di scegliere se esporre le proprie controdeduzioni in forma orale ovvero in forma scritta.
Illegittima sarebbe la pretesa del datore di lavoro di avere controdeduzioni scritte, rifiutandosi di convocare apposito incontro per le richieste difese in forma orale.
L'audizione a difesa del lavoratore serve a garantire allo stesso di esprimere ed esercitare al meglio il diritto di difesa e quindi anche a rendere il datore di lavoro pienamente consapevole dei fatti che saranno, poi, alla base della sua decisione.
È sempre consigliabile redigere un verbale contestualmente all'audizione. In questo modo il datore di lavoro conserva una chiara dimostrazione sul piano probatorio, di aver effettivamente incontrato il lavoratore in presenza e di avergli consentito di esercitare legittimamente il proprio diritto di difesa.
Contemporaneamente il lavoratore, da un lato, ottiene la possibilità di esprimersi e di essere ascoltato, dall'altro si assume la responsabilità delle proprie affermazioni, che resteranno impresse nel verbale di audizione.
- Irrogazione delle sanzioni disciplinari
Termini
L’art. 7 prevede che le sanzioni più gravi del rimprovero verbale possono essere irrogate soltanto dopo 5 gg. dal ricevimento della contestazione. In proposito la giurisprudenza ha rilevato quanto segue:
- nel computo del termine non si tiene conto del dies a quo, cioè del giorno in cui il lavoratore è stato portato a conoscenza della contestazione nei modi prescritti, mentre si conta l’ultimo giorno: questo significa che i 5 giorni cominciano a decorrere dal giorno successivo a quello in cui il lavoratore è stato portato a conoscenza della contestazione nei modi prescritti;
- nel computo si tiene conto anche dei giorni festivi intermedi; nell’ipotesi in cui l’ultimo dei 5 gg. coincida con un giorno festivo, la scadenza del termine deve essere prorogata al primo giorno successivo non festivo (la Corte di Cassazione tuttavia, in una sua decisione - Cass.1993, n.1000 - ne ha ammesso la computabilità);
- il termine di 5 gg. è inderogabile, nel senso che esso deve sempre essere rispettato, anche quando il lavoratore abbia presentato le sue giustificazioni prima della scadenza del termine stesso (così Cassazione 22 aprile 1997, n. 3498 e 7 settembre 2000, n. 11806). Questo significa che l’azienda per irrogare la sanzione dovrà sempre attendere il decorso dei 5 gg. computati con le modalità viste sopra.
Nota bene: Il termine dei 5 giorni riguarda solo l’irrogazione formale e non la sua esecuzione materiale che può essere anche successiva nel tempo.
Attenzione! In taluni casi la contrattazione collettiva prevede un termine finale per l’adozione della sanzione, che decorre dalla presentazione delle giustificazioni, stabilendo che la mancata irrogazione della sanzione entro questo termine costituisce implicitamente accettazione delle giustificazioni fornite dal lavoratore.
Il datore di lavoro quindi, dovrà irrogare la sanzione entro e non oltre il termine finale previsto dai CCNL (il termine in esame decorrerà dal giorno successivo a quello in cui sono scaduti i 5 gg. stabiliti dall’art. 7 Statuto per l’esercizio del diritto di difesa).
Per quanto riguarda alcuni Ccnl del sistema cooperativo sono previsti i seguenti termini:
- Ccnl cooperative consumo (art. 209): 21 giorni;
- Ccnl cooperative sociali (art. 42): 10 giorni;
- Ccnl cooperative di trasformazione prodotti agricoli (art. 55): 30 giorni.
Modalità
L’irrogazione formale delle sanzioni disciplinari è regolata dalla contrattazione collettiva; di norma essa prevede che la comminazione del provvedimento:
- sia effettuata per iscritto;
- sia motivata: in proposito la Cassazione (sentenze n. 5333 del 1992 e n. 4659 del 1993) ritiene idonea la motivazione anche se enunciata con rinvio integrale alla contestazione dell’addebito, con la conseguenza che all’azienda che decide di irrogare la sanzione è sufficiente richiamarsi ai fatti ed ai motivi già dedotti in sede di contestazione.
Nel caso in cui il lavoratore abbia fornito le proprie giustificazioni, è peraltro opportuno redigere una motivazione completa e sufficiente, chiarendo anche i motivi per i quali si è deciso di non accettare le motivazioni che sono state fornite.
Tipologia
L’art. 7 stabilisce che, salvo l’ipotesi di cd. licenziamento disciplinare (legge 1966, n. 604), non è consentita l’irrogazione di sanzioni che comportino mutamenti definitivi del rapporto di lavoro: questo significa che sono ammissibili soltanto le cd. sanzioni conservative.
La contrattazione collettiva, di norma, prevede il tipo di sanzioni.
In ordine di crescente gravità le sanzioni sono:
- rimprovero o richiamo verbale;
- ammonizione scritta (ad essa è equiparabile la diffida);
- multa (per l’art. 7 l’importo non può essere superiore a quattro ore della retribuzione base; i singoli CCNL possono comunque prevedere un importo massimo inferiore);
- sospensione dal lavoro e dalla retribuzione (per l’art. 7 essa non può essere superiore a 10 giorni; i singoli CCNL possono comunque prevedere una durata massima inferiore);
- licenziamento. Le ragioni che possono portare al licenziamento sono minuziosamente indicate dalla contrattazione collettiva. A prescindere dalle indicazioni contrattuali comunque, si deve tener presente che, secondo la giurisprudenza di legittimità prevalente, le garanzie previste dall’art. 7 dello Statuto, 2°, 3° e 5° comma (obbligo preventiva contestazione, possibilità di difesa e necessità del rispetto del termine di 5 giorni) trovano applicazione per qualsiasi licenziamento avvenuto per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo).
Le infrazioni devono essere proporzionate all’infrazione commessa, come è espressamente richiesto dall’art. 2106 c.c. (secondo il quale le sanzioni disciplinari devono essere comminate “secondo la gravità dell'infrazione”) e devono essere applicate secondo un principio di gradualità (il fatto, se ripetutosi, verrà sanzionato in modo progressivo con sanzioni sempre più pesanti).
IMPUGNAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DISCIPLINARE
Una volta irrogata la sanzione il dipendente ha 2 possibilità, di carattere alternativo:
1) richiedere l’attivazione della procedura conciliativo-arbitrale prevista dall’art.7 Legge 300/70;
2) adire direttamente l’Autorità Giudiziaria.
- Procedura conciliativa avanti alla Ispettorato Territoriale del Lavoro
Il dipendente (anche per mezzo dell’organizzazione sindacale cui sia iscritto o conferisca mandato), entro il termine tassativo di 20 gg. dalla comunicazione del provvedimento disciplinare (cioè dal giorno successivo a quello in cui è stato portato a conoscenza dell’irrogazione del provvedimento), ha la facoltà di richiedere la costituzione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro, di un Collegio di conciliazione ed arbitrato composto da un rappresentante per la parte sindacale e da uno per quella datoriale e da un terzo membro scelto di comune accordo o, in difetto di accordo, nominato dal Direttore dell’ITL.
L’attivazione della procedura di conciliazione comporta la sospensione della sanzione disciplinare.
La sospensione ha decorrenza dal momento in cui il datore ha avuto legale notizia del ricorso del lavoratore alla Direzione (pervenendogli da quest’ultima l’invito di designare il suo arbitro) ed opera fino alla pronuncia del lodo da parte del Collegio.
Una volta presentata dal dipendente la richiesta di attivazione della procedura di conciliazione, il datore ha l’onere di nominare, entro 10 gg. dall’invito rivoltogli dall’ITL, un proprio rappresentante in seno al Collegio di conciliazione.
Se il datore non provvede a nominare il proprio rappresentante entro il termine suddetto, la sanzione disciplinare resta priva di qualsiasi effetto.
Quando non voglia rimettersi al giudizio del Collegio, il datore, in alternativa alla nomina del rappresentante nel Collegio di conciliazione, ha la possibilità di ricorrere al giudice ordinario: in questo caso però l’azione giudiziaria dovrà essere proposta a pena di decadenza entro i 10 gg. successivi a quello in cui il datore ha ricevuto l’invito dell’ITL a nominare il proprio rappresentante in sede al Collegio (cioè entro lo stesso termine entro il quale dovrebbe essere nominato il rappresentante dell’azienda).
- Ricorso diretto all'Autorità Giudiziaria
In alternativa all’attivazione della procedura conciliativa il dipendente può scegliere di ricorrere direttamente all’Autorità Giudiziaria.
Secondo la giurisprudenza l’azione giudiziaria è proponibile fino a quando non si sia perfezionato il patto compromissorio con la designazione degli arbitri: dopo questo momento la scelta della procedura conciliativa preclude la possibilità di ricorrere al giudice ordinario, dovendo il lavoratore aspettare la decisione assunta dal collegio arbitrale.
Se però gli arbitri non riescono a raggiungere un lodo sulla questione, risorge il diritto di ricorrere all’autorità giudiziaria.