Giurisprudenza del lavoro

Giurisprudenza del lavoro

lunedì 23 dicembre 2024

Legittimo il licenziamento del dipendente per condotta truffaldina

Corte di Cassazione Ordinanza n. 30613 del 28 novembre 2024

 

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 30613 del 28 novembre 2024, ha statuito che è legittimo il licenziamento irrogato al dipendente che, abusando della fiducia riconosciutagli dal datore, utilizza dei sotterfugi per non recarsi al lavoro. La Cassazione ha rilevato che, nel caso di specie, l’infrazione disciplinare contestata al lavoratore, ossia l’aver ritardato la ripresa del lavoro dopo la pausa pranzo e il non essersi presentato in servizio il giorno successivo, senza preavviso, non consiste nell’assenza ingiustificata dal lavoro, ma nella natura truffaldina della condotta posta in essere al fine di non presentarsi in servizio.

 

Licenziato per giusta causa il dipendente che pone in essere condotte di violenza domestica

Corte di Cassazione Sentenza n. 31866 dell’11 dicembre 2024

 

La Corte di Cassazione, con Sentenza n. 31866 dell’11dicembre 2024, si pronuncia nuovamente in materia di licenziamento per condotta extra-lavorativa. Questa, si ricorda, è suscettibile di rilievo disciplinare poiché il lavoratore è tenuto non soltanto a fornire la prestazione richiesta, ma anche a non porre in essere, al di fuori dell’ambito lavorativo, comportamenti idonei a ledere gli interessi morali e materiali del datore, ovvero a compromettere il rapporto di fiducia con lo stesso. Ne consegue che rientra nella nozione legale di giusta causa di licenziamento la condotta extra-lavorativa, peraltro avente rilievo penale e pure sfociata in sentenza irrevocabile di condanna, caratterizzata, sia pure nell’ambito di rapporti familiari, nel mancato rispetto della altrui dignità e da abituali forme di violenza.

Ciò, a maggior ragione, ove le mansioni del lavoratore comportino un costante contatto col pubblico ed esigano un comportamento di rispetto e autocontrollo.

 

Mobbing e responsabilità: va dimostrato l’intento persecutorio

Corte di cassazione (sezione lavoro, 14 novembre 2024, n. 29400

 

L’articolo 2087 del codice civile pone in capo al datore di lavoro l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. L’inadempimento di tale norma determina l’insorgere di un’ipotesi di responsabilità contrattuale.

Anche il mobbing rientra tra le violazioni dell’articolo 2087, tuttavia, rispetto alle altre, esso si caratterizza per la presenza di una pluralità di condotte che, di per sé considerate, possono anche essere legittime e formalmente corrette, ma che sono legate da un comune intento persecutorio che determina la loro complessiva illegittimità e la responsabilità contrattuale di chi le pone in essere.

Per quanto riguarda l’onere della prova, la Cassazione ha rilevato che il lavoratore, nel denunciare il mobbing, non può limitarsi ad allegare l’inadempimento del datore di lavoro e provare il danno e il nesso causale (come detto gli atti posti in essere potrebbero essere, se presi singolarmente, legittimi), ma deve dimostrare anche e soprattutto la sussistenza dell’intento persecutorio. Devono in sostanza essere dimostrati specifici fattori di rischio che, pur in presenza di singoli comportamenti datoriali legittimi, di fatto determinano la nocività dell’ambiente di lavoro.

 

Illegittimo il licenziamento del lavoratore dovuto ad un fraintendimento sulla durata delle ferie

Corte di Cassazione. Ordinanza n. 30612 del 28 novembre 2024

 

La Corte di Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento del lavoratore che a causa di un fraintendimento con il datore di lavoro ha fruito di ferie “non concesse”.

Nel caso di specie le ferie, richieste per la durata di 2 settimane, erano state prima negate per iscritto dall'azienda e successivamente concesse dal datore di lavoro a voce, il quale ha però sostenuto di averle concesse per una sola settimana, mentre il lavoratore si è assentato per 2 settimane.

Al riguardo i giudici hanno affermato che il fatto non costituisce giusta causa di recesso in quanto la sanzione comminata è sproporzionata.