LA PRESENZA DI SOCI VOLONTARI NELLE COOPERATIVE SOCIALI

LA PRESENZA DI SOCI VOLONTARI NELLE COOPERATIVE SOCIALI

di Enrico Maria Lovaglio

giovedì 31 ottobre 2024

Come risaputo, la disciplina attinente al funzionamento delle cooperative sociali, imprese sociali “ope legis”, ne prevede i criteri ed i metodi di regolazione della propensione naturale al coinvolgimento adeguato e alla partecipazione democratica dei soci – tra i quali, ai sensi della legge 8 novembre 1991, n. 381, soci volontari - alle vicende economiche, organizzative, gestionali, della società.

 

Non guasta specificare, da sùbito, che, in una nota congiunta, 31 gennaio 2019, tra Mise (ora Mimit) e Ministero del lavoro, avente a oggetto “Applicazione alle cooperative sociali della disciplina in materia di impresa sociale di cui al Decreto Legislativo 112/2017 e s.m.i.”, in risposta a una richiesta di parere delle associazioni di rappresentanza, tutela e revisione del movimento cooperativo, i 2 Dicasteri hanno precisato che: “con riferimento all’articolo 13, comma 2 riguardante la prestazione di attività di volontariato nelle imprese sociali, si ritiene che le cooperative sociali nell’impiego dei soci volontari debbano continuare ad attenersi alla disciplina di cui alla legge n. 381/1991 rispettando le percentuali previste dalla stessa”. Da questo versante, come peraltro rilevato dall’Alleanza delle cooperative italiane con una propria nota del 25 marzo 2021, sembra emergere che, non come la pluralità degli enti del Terzo settore, alle cooperative sociali sia precluso il possibile impiego di volontari privi di un rapporto associativo.

 

Questa categoria particolare di soci, volontari, benchè eccezionalmente priva di legami mutualistici concretamente instaurati (e valutati) con la cooperativa di adesione, è, ciononostante, altamente riconosciuta per svolgere un’attività d’estremo valore, di ausilio e di supporto agli altri soci e agli altri lavoratori di cooperativa, con i quali contribuisce a realizzare l’opera d’interesse generale e d’utilità sociale a favore delle comunità residenti [Ministero del lavoro e della previdenza sociale, Direzione Generale della Cooperazione Divisione, Circolare n. 116/1992].

 

Ciò premesso, è opportuno ricordare che le cooperative sociali, analogamente alla pluralità delle cooperative, debbono instaurare con i soci – nonché, impegnarsi poi a conservare, dalla costituzione, sino allo scioglimento – i risaputi legami associativi e mutualistici, effettivi, previsti dal codice civile; sia, instaurando con i soci, ove previsto dallo statuto, un legame lavorativo ai sensi della L. 142/2001 e successive modificazioni; sia, instaurando con i soci, ove ugualmente previsto dallo statuto, un legame di consumo, o utenza, che presuppone l’erogazione di servizi, d’interesse generale e d’utilità sociale, ai sensi della L. 381/91, integrata dal D.lgs. 112/2017, art. 17, comma 1. Non esclusa l’ipotesi che vede l’instaurazione contestuale dei ridetti legami associativi e mutualistici.

 

Il fatto che una cooperativa sociale, effettuando un’attività d’impresa in osservanza della L. 381/1991, venga annoverata – “ope legis” – tra le cooperative a “mutualità prevalente”, indipendentemente dai requisiti di cui agli articoli 2512 e 2513, cod. civ. (rilevanti fiscalmente), non deve causare confusione, inducendo gli Organismi di amministrazione a maturare l’errata convinzione che il perseguimento degli scopi mutualistici sia consentito (ugualmente, con il favore dello Stato alla promozione imprenditoriale) anche senza fondamentale coinvolgimento dei soci, che, realizzato ineluttabilmente tramite lo scambio mutualistico, legittima, fra l’altro, l’associato a esercitare i poteri amministrativi, nonché a beneficiare dei diritti patrimoniali, previsti dalla legge. La facoltà, accordata alla cooperazione costituzionalmente riconosciuta, di svolgere attività mutualistica anche a favore di terzi [art. 2521, comma 2, c.c.], inclusi nel perimetro tradizionale di scambio mutualistico, a condizione che ciò sia stato previsto nell’atto costitutivo, ne conferma il naturale orientamento a favore dei soci. Non solo. Come, la cooperativa sociale, non può, al pari delle altre cooperative, escludere, oltre alle prestazioni lavorative di soci, il ricorso alle prestazioni lavorative rese da terzi, diversamente dalle altre cooperative (a meno che lo “status" volontario d’impresa sociale” non le proietti, analogamente,  oltre il perimetro tradizionale di gestione mutualistica), la cooperativa medesima può orientare in via naturale i servizi d’interesse generale e d’utilità sociale, oltrechè a soci e a terzi, consumatori, o utenti, ricompresi nel perimetro tradizionale di scambio mutualistico [artt. 2512 e 2513, c.c.], anche a categorie sociali, di consumatori, o utenti, pur esterne al perimetro tradizionale di scambio mutualistico [art. 2520, comma 2, c.c.].

 

Nelle forme e nella misura consentita dalla normativa vigente, il Legislatore attribuisce, in buona sostanza, un significato ancora più ampio al concetto di partecipazione dei soci alle vicende della cooperativa sociale a cui essi aderiscono; tant’è, nella fattispecie in argomento, che il legame partecipativo alle vicende societarie può, per un socio volontario, divergere dal contributo tradizionalmente dato, o ricevuto, da un socio, alla realizzazione di uno scambio mutualistico sostanzialmente misurabile ai sensi degli articoli 2512 e 2513, cod. civ..

Pertanto, ai sensi di norme vigenti, gli atti costitutivi delle cooperative sociali possono prevedere una compagine associativa formata anche da soci volontari – escludendo l’ipotesi che questi possano rendere una prestazione occasionale, devono essere iscritti in una sezione apposita del libro soci – a condizione che il loro numero non superi la metà di quello complessivo dei soci aderenti in relazione all’esigenza di perseguire gli scopi sociali; questa particolare categoria di soci volontari sceglie di svolgere un’attività a titolo puramente gratuito, esclusivamente a fini di solidarietà sociale, che coadiuva gratuitamente l’impresa cooperativa nella somministrazione di servizi idonei a soddisfare i bisogni della comunità residente.

 

Per tale motivo, in primo luogo, i soci volontari hanno diritto a una assicurazione contro gli infortuni e le malattie connesse allo svolgimento dell’attività che viene prestata; nonché, a una assicurazione per la responsabilità civile verso terzi [D.M. 11 giugno 1992, Ministero del lavoro e della previdenza sociale, “Determinazione della retribuzione convenzionale ai fini dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro”; articolo 4, comma 1, n. 7, D.P.R. 1124/1965, succ. mod].

 

In secondo luogo, precisato che, ai sensi delle norme vigenti [L. 381/1991], i soci volontari prestano attività sussidiaria a condizione, però, di venire effettuata a titolo puramente gratuito, questi hanno comunque il diritto a un rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, secondo criteri stabiliti per tutti i soci della medesima cooperativa.

 

Ricordato, nel merito, che il comma 4, articolo 2, L. 381/1991, prevede il solo rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate – mentre, per il CTS [D.lgs. 117/2017], le spese sostenute dal volontario, possono, entro i limiti, essere rimborsate anche su presentazione di un’autocertificazione, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a cui è stato richiesto di pronunciarsi sull’applicabilità, alle cooperative sociali dell’articolo 17, comma 4, D.Lgs. cit., in riferimento ai criteri di erogazione di rimborsi spese ai soci volontari, risponde, interpellando anche l’allora Mise, che: “... è necessario evidenziare come la previsione contenuta all’art. 2 comma 4 della l. n. 381/1991 costituisca norma speciale in materia di disciplina dei rimborsi ai soci volontari; peraltro, la previsione della modalità di rimborso “semplificata”, prevista dal Codice del Terzo settore non si pone in contrasto con quella di cui alla citata l. n. 381/1991, costituendo essa una mera facoltà che l’ente potrebbe decidere di non esercitare, semplicemente non deliberando nulla a riguardo”. Tale posizione, condivisa dal Ministero dello sviluppo economico, parte dall’assunto che “seguendo il principio della gerarchia delle fonti si può ragionevolmente ritenere che, ai sensi dell’art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 117/2017 sopra citato, alle cooperative sociali si applichino gli articoli da 17 a 19 del d.lgs. n. 117/2017 … diretti a disciplinare la figura del volontario che svolge la propria attività tramite l’ente del Terzo settore”, considerato che l’esame di compatibilità effettuato non evidenzia nella citata legge n. 381 una norma ostativa all’applicazione dei suddetti articoli 17-19, ben potendosi interpretare la stessa come integrativa della disciplina speciale dettata dall’art. 2 della L. n. 381 per i soli soci volontari”. In pratica, per tutte le argomentazioni appena esposte, viene confermata l’applicabilità dell’articolo 17, comma 4, D.Lgs. 117/2017, anche ai soci volontari di cooperative sociali, a condizione che la gestione dei rispettivi rimborsi avvenga all’interno di una metodologia complessiva che ne quantifica le spese, ai sensi del combinato disposto dell’articolo 2, comma 4, L. 381/1991 e dell’articolo 17, comma 4, D.Lgs. 117/2017.

In rapporto, invece, alla gratuità di prestazione, questo comporta, non secondariamente, che i soci volontari di cooperative sociali non possono essere inquadrati, né come lavoratori subordinati, né come lavoratori autonomi, dovendo, come detto, prestare la propria attività in forma solo gratuita, complementare e non sostitutiva, rispetto ai parametri d’impiego degli operatori professionali previsti dalle disposizioni vigenti, per la gestione di servizi di cui all´articolo 1, comma 1, lettera a), L. 381/1991.

 

Da questo verso, il socio volontario, non avendo diritto a essere retribuito, né diritto al compenso per l’attività svolta, non può nemmeno percepire il corrispettivo se ricopre una carica societaria: “si deve ritenere che rientri nel concetto di attività di volontariato non solo quella direttamente rivolta allo svolgimento di una o più attività di interesse generale, costituente l’oggetto sociale dell’ente, ma altresì l’attività relativa all’esercizio della titolarità di una carica sociale, in quanto strumentale all’implementazione dell’oggetto sociale dell’ente”[Ministero del lavoro e politiche sociali, nota n. 6214/2020].

 

Va da sé che il socio volontario non può, per la stessa ragione, accettare funzioni in ambito societario per le quali – constatata una retribuzione giustificata dal carattere d’indipendenza di funzione – non può essere esclusa l’onerosità della prestazione; come, ad esempio, nell’ipotesi (alquanto rara, benchè verosimile) in cui al socio volontario venisse richiesto, avendo qualifica tecnica, di rivestire il ruolo di Organismo di controllo legale o di Organismo di controllo contabile. Nè, in quelle circostanze, i sindaci potrebbero rinunciare autonomamente al compenso loro spettante. Né, come sostenuto da parte maggioritaria di dottrina e giurisprudenza, potrebbe essere previsto, nello statuto, che i sindaci delle società svolgono quell’incarico a titolo gratuito. Fra l’altro, con riferimento esplicito ai sindaci di società cooperative, la Cassazione [sez. I, 31-05-2008 n. 14640] ha sancito che, “ove l'entità del compenso non sia stabilita nell'atto costitutivo né fissata dall'assemblea, il giudice che ne sia richiesto ha l'obbligo di determinare la retribuzione stessa secondo le modalità di cui all'articolo 2233, cod. civ., non essendo a ciò di ostacolo la clausola statutaria che, in contrasto con il citato articolo 2402, cod. civ., demandi all'assemblea stessa la scelta se remunerare o meno il sindaco”.

 

E’ appena il caso di ricordare – premettendo che la posizione controversa è stata poi riconsiderata e infine riveduta dal Mimit – che questo [Direzione generale per la vigilanza sugli enti cooperativi e le società – nota del direttore generale del 3 aprile 2023, inviata ai revisori incaricati di vigilanza cooperativa], affermata preliminarmente la netta distinzione fra la figura di “socio cooperatore” e quella di “socio volontario”, nonché, constatato, ai sensi di codice civile, che, “la maggioranza degli amministratori è scelta tra i soci cooperatori ovvero tra le persone indicate dai soci cooperatori persone giuridiche”, giungeva alla conclusione che “i soci volontari non possono essere considerati al pari dei soci cooperatori e che, conseguentemente, non possono costituire la maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo se non in violazione dell’art. 2542 co. 3 c.c., sopra citato. Cionondimeno i soci volontari, che prestano gratuitamente la loro opera di lavoro in favore della cooperativa al fine di contribuire al raggiungimento degli scopi sociali della medesima, è indubbio che possano essere nominati consiglieri in numero tale da non violare il precetto contenuto dal comma 3 dell’art. 2542”. Ebbene, con ulteriore Direttiva, REGISTRO UFFICIALE.U.0036921.20-06-2024, ad integrazione ed a modifica della precedente, il Mimit ha, al termine di un confronto avuto oltretutto con le associazioni di rappresentanza, diversamente affermato di non escludere un CdA, anche, interamente formato da soci volontari.