Licenziamento dovuto al rifiuto di trasferimento presso altra sede lavorativa
Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 3929/2024
Un lavoratore che rifiuta il trasferimento può essere licenziato per giusta causa. Lo ha stabilito recentemente la Corte di Cassazione, con l'Ordinanza n. 3929/2024, confermando quanto già deciso nei due precedenti gradi di giudizio.
Nel caso di specie, il lavoratore si era precedentemente assentato per un evento di malattia; al termine di tale periodo, dopo essere stato giudicato guarito ed idoneo alla mansione, si era rifiutato di recarsi presso la nuova sede di lavoro, già in precedenza comunicata.
Il lavoratore si era già opposto con forza a tale trasferimento, e ha dunque continuato a lavorare presso la sede precedente, peraltro modificando di sua iniziativa l'orario di lavoro.
Tali comportamenti, dice la Corte, giustificano il licenziamento per giusta causa, in quanto idonei a ledere il vincolo fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro sulla correttezza ed esattezza dello svolgimento dell'attività lavorativa da parte del dipendente.
Il licenziamento del dirigente non richiede la presenza di situazioni di gravità
Corte di Cassazione Ordinanza n. 12727 del 9 maggio 2024
La Corte di Cassazione ha stabilito che il rapporto fiduciario che lega il dirigente al datore di lavoro comporta la legittimità del licenziamento per giustificatezza, intesa quale elemento che diverge dalla giusta causa o dal giustificato motivo. Ciò in quanto il recesso del dirigente medesimo, a differenza di quello degli altri lavoratori, non deve per forza identificarsi in una extrema ratio, bensì è necessaria la compromissione del legame di fiducia.
L’onere di provare l’avvenuto versamento della retribuzione al lavoratore è a carico del datore di lavoro
Corte di Cassazione. Ordinanza n. 10663 del 19 aprile 2024
La Corte di Cassazione ha ribadito che, una volta accertata la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato, spetta al datore di lavoro provare il pagamento della retribuzione.
Gli Ermellini hanno inoltre precisato che l’obbligo a carico del datore, previsto dall’articolo 1 della Legge n. 4/1953, di consegnare ai lavoratori dipendenti all’atto della corresponsione della retribuzione un prospetto contenente l’indicazione di tutti gli elementi costitutivi della retribuzione non riguarda la prova dell’avvenuto pagamento.
Pertanto, se il lavoratore contesta la corrispondenza tra quanto indicato nel prospetto paga e la retribuzione effettivamente erogata, quanto annotato nel prospetto non è sufficiente per la prova dell’avvenuto pagamento.
Violazione procedure aziendali e licenziamento per giusta causa
Corte di Cassazione Ordinanza n. 6827 del 14 marzo 2024
La Corte di Cassazione, si è pronunciata sulla legittimità di provvedimenti disciplinari adottati dal datore a seguito di violazione di procedure aziendali e direttive, tali da giustificare il ricorso al licenziamento per giusta causa del lavoratore. Si ribadisce da un lato, l'importanza di una comunicazione efficace e trasparente a livello aziendale, atta ad individuare un quadro normativo e procedurale chiaro e di immediata comprensione per i dipendenti, al fine di minimizzare i rischi derivanti da comportamenti e prassi non conformi. D'altro canto viene posto l'accento sul profilo di responsabilità e consapevolezza riconosciuto al lavoratore, esponendolo a gravi conseguenze, finanche la perdita dell'impiego, in caso di violazione di direttive e processi aziendali.
Gli indumenti di lavoro sono DPI e il datore di lavoro deve mantenerne l'efficienza
Corte di Cassazione Ordinanza n. 12126 del 6 maggio 2024
Con l’ordinanza in esame viene ribadito che la nozione legale di DPI non è limitata alle attrezzature appositamente create e commercializzate per la protezione di specifici rischi alla salute, ma si riferisce a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che può in concreto costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici, in conformità con l'articolo 2087 del codice civile. Ne consegue che il datore di lavoro ha l'obbligo di fornire e mantenere in stato di efficienza anche gli indumenti di lavoro.
Collocato in aspettativa il lavoratore che rifiuta la formazione nell’orario stabilito dal datore
Corte di Cassazione Ordinanza n. 12790 del 10 maggio 2024
La Corte di Cassazione, ha statuito che è legittimo, quale misura di sicurezza, collocare in aspettativa non retribuita il lavoratore che si rifiuta di frequentare il corso in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro nell’orario stabilito dal datore di lavoro. L’articolo 37 del D.Lgs n. 81/2008 invita il datore di lavoro ad organizzare i corsi prioritariamente durante i turni di lavoro dei suoi dipendenti, compatibilmente con le esigenze aziendali, e di considerare la frequenza come orario di lavoro (eventualmente straordinario).