Vaccinazione anti-covid dei lavoratori: profili giuridici

Vaccinazione anti-covid dei lavoratori: profili giuridici

A due mesi dall’inizio delle campagne vaccinali anti-COVID-19 molti datori di lavoro si trovano ad affrontare le problematiche giuridiche relative alla vaccinazione dei lavoratori. (articolo redatto in collaborazione con il Servizio Sindacale Giuslavoristico di Confcooperative e Area Lavoro di IVC spa)

lunedì 8 marzo 2021

Le considerazioni esposte nel testo rappresentano il frutto di uno studio del Servizio Sindacale di Confcooperative e di ICN s.p.a. che si sono avvalse anche di un parere pro veritate del Prof. Giampiero Falasca. Esse devono essere considerate valide rispetto alla situazione generale attuale, fermo restando che potrebbero emergere ulteriori novità sia sul fronte della campagna vaccinale sia sul piano normativo.

Ricordiamo che rispetto al Covid-19, nel quadro normativo attualmente vigente il nostro Paese:

  • non impone alcun obbligo vaccinale per legge,
  • non rende il vaccino liberamente acquistabile dalle imprese
  • non permette ad un datore di lavoro di pretendere l’effettuazione del vaccino ai propri lavoratori

 

L’assenza di un obbligo vaccinale generalizzato per i lavoratori

A normativa vigente, in linea generale, il datore di lavoro non è legittimato a imporre al lavoratore dipendente l’obbligo di sottoporsi alla vaccinazione.

L’assenza di una norma che imponga l’obbligatorietà del vaccino anti-Covid, unitamente al disposto costituzionale (art. 32 Cost.) secondo cui un trattamento sanitario non può essere imposto se non per disposizione di legge, orientano su questa posizione.

L’ipotesi che un obbligo vaccinale possa derivare dall’applicazione dell’art. 2087 c.c. in base al quale

L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro

non appare sufficiente a sostenere un potere coercitivo tout court in capo al datore di lavoro. In questa fase, risulterebbe difficile sostenere che in relazione al vaccino anti-Covid il datore di lavoro sia dotato di quella “esperienza” e di quella “tecnica” cui fa riferimento il Codice Civile, congiuntamente al fatto di essere attualmente impossibilitato a somministrare direttamente i vaccini.

L’importanza delle previsioni contenute nell’art. 2087 C.C, risiede attualmente nel fatto che, ai fini della tutela contro il rischio di contagio da COVID-19, il suddetto articolo debba ritenersi adeguatamente applicato laddove un’impresa adotti specifiche soluzioni in linea con il Protocollo Sicurezza Covid sottoscritto dalle parti sociali il 24 aprile 2020.

Il Protocollo, richiamato ed allegato a tutti i DPCM successivi alla firma quale punto di riferimento obbligatorio, pena l’impossibilità per le imprese di continuare la propria attività, non contiene nulla in merito all’obbligo vaccinale per i lavoratori. Non poteva che essere così visto che, quando è stato sottoscritto, non era disponibile alcun vaccino.

Ma un eventuale aggiornamento in cui si prevedesse un obbligo vaccinale per i lavoratori potrebbe costituirne un valido presupposto fondante dato che, l’obbligo per un’impresa di rispettare tutte le misure indicate dal Protocollo, ha comunque una validazione normativa.

Infine, sempre con riferimento al quadro normativo vigente, un obbligo generalizzato di vaccinazione contro il Covid-19 non risulta rinvenibile nemmeno tra le norme in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui al. T.U. 81/2008.

 

La sospensione temporanea in assenza di vaccino indispensabile
Considerato che il virus risulta a tutti gli effetti qualificabile come “agente biologico” – riconducibile al cosiddetto gruppo di rischio 3 secondo quanto previsto da specifica direttiva UE già recepita in Italia - il Testo Unico sulla salute e sicurezza sul lavoro determina per il datore di lavoro:
 

  • sia l’eventuale necessità di rielaborare o integrare, in collaborazione con RSPP e il medico competente, il Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) proprio in ragione del rischio di contagio da Covid-19 (art. 271);
  • sia la possibilità, sempre su conforme parere del medico competente, di adottare, laddove necessarie anche per motivi sanitari individuali dei singoli lavoratori, misure speciali di protezione fra cui “la messa a disposizione di vaccini efficaci …” per soggetti non già immuni nonché “l’allontanamento temporaneo del lavoratore” secondo quanto specificatamente previsto dal medesimo T.U. all’art. 42 in materia di inidoneità alla mansione (art. 279).

    Decadendo automaticamente l’ipotesi di somministrazione del vaccino direttamente da parte dell’impresa data la situazione attuale per cui il datore di lavoro non è nelle condizioni di poter effettuare la vaccinazione, rimarrebbe in alcune situazioni operative la seconda soluzione. Va considerato che i datori di lavoro hanno sempre a disposizione tutta una serie di strumenti, sempreché praticabili e opportuni, per gestire diversamente lo svolgimento della prestazione dei lavoratori (vedi ad esempio lavoro agile o altre soluzioni suggerite dal Protocollo Covid).
    Se da un lato si registra l’assenza di un obbligo generalizzato alla vaccinazione dei lavoratori, dall’altro, in determinati casi ben specifici il datore di lavoro, di concerto con il medico competente nell’esercizio dell’attività di sorveglianza sanitaria, può disporre la sospensione di un lavoratore per inidoneità alla mansione.
    La strada della sospensione per inidoneità alla mansione risulterebbe eventualmente praticabile soprattutto a fronte del rifiuto di un lavoratore a vedersi somministrato il vaccino qualora venisse chiamato nell’ambito della campagna in corso, anche considerando che la sua mancata vaccinazione potrebbe costituire un impedimento non solo per l’esercizio della sua personale attività, ma in generale per il mantenimento delle condizioni di salute e sicurezza sul luogo di lavoro (es. verso colleghi o verso utenti/clienti).
    Qualora ci si trovasse di fronte a questa fattispecie, la procedura di sospensione e l’eventuale inidoneità alla mansione deve essere necessariamente gestita e valutata dal medico compente, alle cui indicazioni il datore di lavoro deve attenersi scrupolosamente.
    Sarà quindi solo il medico competente a valutare la compatibilità per un lavoratore, considerate anche le sue condizioni fisiche, a svolgere le proprie mansioni nel contesto specifico ed esprimendo un determinato giudizio: idoneità; idoneità parziale temporanea o permanente con prescrizioni o limitazioni; inidoneità temporanea; inidoneità permanente.
    Secondo quanto previsto dall’art. 42 del T.U. 81/2008, un giudizio di inidoneità alla mansione espresso dal medico competente comporta l’onere per il datore di lavoro di adibire ove possibile il lavoratore a mansioni equivalenti o, in mancanza, di livello inferiore con il mantenimento del medesimo trattamento economico (c.d. onere di repechage).
    Cioè, si deve procedere in questa direzione qualora risulti possibile e ragionevole per un datore di lavoro, senza dover stravolgere la propria organizzazione aziendale, assegnare al lavoratore sospeso altre mansioni compatibili con il suo stato.Laddove tale soluzione non fosse praticabile, in base ad un consolidato orientamento giurisprudenziale, il datore di lavoro ha la facoltà di sospendere il dipendente dal servizio e dalla retribuzione fino al momento in cui la situazione non trovi una sua definizione.
    In base ai medesimi orientamenti giurisprudenziali, riteniamo sia da escludere l’ipotesi di un licenziamento - per giustificato motivo oggettivo - trattandosi nei casi in questione di un’eventuale inidoneità temporanea e non permanente. Il lavoratore potrebbe successivamente decidere di accettare la vaccinazione, o risultare immune al virus oppure un miglioramento del quadro epidemiologico potrebbe far decadere l’imprescindibilità del vaccino.
    Non considerando quindi praticabile il licenziamento di un lavoratore che non si sottoponga al vaccino nemmeno nell’ipotesi di impossibilità di repechage a seguito della sua sospensione per inidoneità alla mansione, ricordiamo che ormai da quasi un anno, in considerazione dell’emergenza sanitaria in corso, vige uno specifico divieto di licenziamento per motivi economici, esteso al momento fino al 31 marzo 2021.

    Va precisato che, secondo altri giuslavoristi, esiste invece la possibilità di sottoporre ad un procedimento disciplinare un lavoratore dimostratosi indisponibile a collaborare per l’attuazione delle misure di sicurezza indicate nel DVR della sua impresa. In questo senso, il datore potrebbe (come estrema ratio) perseguire un licenziamento - legittimo in questo caso – a fronte di una violazione particolarmente grave e reiterata, come ad esempio, il rifiuto ad utilizzare i dispositivi di protezione individuale (DPI) quali banalmente la mascherina nell’attuale contesto pandemico.
    Ciò perché, in base all’art. 20 del T.U. 81/2008, tutti i lavoratori sono chiamati a collaborare responsabilmente nel prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro e, quindi, in definitiva per una corretta applicazione della normativa.

    Scenari differenti nelle diverse tipologie di imprese
    Lo strumento della sospensione per inidoneità alla mansione andrà valutato rispetto al singolo caso ma, senza dubbio, data la diversa natura dell’attività d’impresa svolta e il differente livello di rischio ad essa associata, si può ritenere in via generale che:

 

  1. nelle imprese cooperative operanti nel settore socio-sanitario, assistenziale ed educativo, nonché in quelle direttamente impegnate in attività di supporto alla prevenzione del contagio da Covid-19 (es. sanificazione ambienti, pulizie, etc.)

 

  • la somministrazione del vaccino anti-Covid al lavoratore emerge quale presupposto indispensabile per la continuazione dell’attività, motivo per cui, davanti al rifiuto di partecipare alla campagna vaccinale in corso, il datore di lavoro potrà, previo accertamento a cura del medico competente della sua inidoneità temporanea alla mansione, assegnarlo ad altre mansioni compatibili con il suo stato garantendogli comunque il precedente trattamento economico o, nell’impossibilità effettiva di repechage, decidere come estrema ratio la sospensione del dipendente dal lavoro e dalla retribuzione;
     
  1. in tutte le altre tipologie d’impresa, anche con contatto con il pubblico o che svolgono attività di tipo artigianale, industriale, agricolo, commerciale - fatta eccezione per mansioni/attività che a giudizio del medico competente possano determinare, tenuto anche conto delle condizioni fisiche del lavoratore, un particolare rischio di contagio da Covid-19 e per le quali vale quanto illustrato al punto precedente

 

  • non risulta possibile pretendere la partecipazione di un lavoratore alla campagna vaccinale né in alternativa procedere ad un’eventuale sospensione temporanea dello stesso per inidoneità alla mansione.

 

Garante della Privacy. FAQ del 17 febbraio 2021 in materia di trattamento dei dati personali.
A completamento dell’approfondimento sul tema della vaccinazione anti COVID-19 dei lavoratori segnaliamo la pubblicazione di alcune importanti FAQ da parte del Garante per la protezione dei dati personali (clicca qui).
La posizione del Garante risulta confermare l’indirizzo interpretativo di Confcooperative e ICN.
Risulta infatti ribadita la centralità le funzioni in materia di sorveglia sanitaria attribuite per legge al medico competente (T.U. 81/2008 sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro).
Quindi, è al medico competente che l’impresa dovrà far riferimento, non potendo agire diversamente, per acquisire le informazioni legate ai propri lavoratori dipendenti relativamente alla loro idoneità per l’accesso ai luoghi di lavoro e/o per lo svolgimento di determinate mansioni, attenendosi scrupolosamente a tali sue indicazioni.
Conseguentemente, anche l’eventuale scelta di un datore di lavoro di assegnare un lavoratore ad altre mansioni compatibili o, come estrema ratio, di sospenderlo dal lavoro e dalla retribuzione, dovrà necessariamente derivare dalle informazioni che saranno fornite dal medico competente circa un’inidoneità temporanea del soggetto.
Nel merito, le indicazioni del Garante sono così riassumibili:

 

  1. Il datore di lavoro non può acquisire direttamente dai suoi dipendenti informazioni sullo stato vaccinale né copia di documenti che attestino l’avvenuta vaccinazione anti Covid-19, nemmeno con il consenso degli interessati. Non lo permettono le disposizioni emanate per l’emergenza né le norme in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro. L’eventuale consenso offerto dal lavoratore non basta, infatti, stante lo squilibrio del rapporto tra datore e dipendente nel contesto lavorativo.
  2. Il datore di lavoro non può acquisire i nominativi dei dipendenti vaccinati nemmeno dal medico competente, l’unico deputato a trattare i dati sanitari e le informazioni relative alla vaccinazione dei lavoratori. Come anticipato, il medico competente dovrà trasferire soltanto giudizi di idoneità/inidoneità alla mansione insieme ad eventuali prescrizioni e limitazioni in essi riportati.
  3. In attesa di un (eventuale) intervento del legislatore che imponga la vaccinazione anti Covid-19 quale condizione per lo svolgimento di determinate attività e mansioni, spetta unicamente al medico competente, sulla base dei dati sanitari in suo possesso, valutare se la vaccinazione costituisce una condizione imprescindibile per l’accesso ai luoghi di lavoro e per lo svolgimento di determinate mansioni (es. in ambito socio-sanitario). Qualora lo fosse, come già ribadito, da ciò discende l’eventuale giudizio di temporanea inidoneità alla mansione da fornire al datore di lavoro che dovrà attivarsi di conseguenza (assegnazione se possibile ad altre mansioni compatibili o, se impraticabile, sospensione da lavoro e da retribuzione).