I REQUISITI DELL’AMMINISTRATORE DI COOPERATIVA

I REQUISITI DELL’AMMINISTRATORE DI COOPERATIVA

di Enrico Maria Lovaglio

 

L’impresa cooperativa, per essere regolare, deve essere formata da soci effettivamente muniti dei requisiti previsti dalla disciplina vigente; sia in rapporto al numero, sia in rapporto alla qualifica mutualistica. Tant’è vero che la disciplina regolante l’istituto obbliga la società a coinvolgere tutti i soci nell’attività mutualistica; siano, essi, conferenti, o lavoratori, oppure fruitori o consumatori, con i quali risulta obbligatorio instaurare gli specifici legami di scambio mutualistico previsti dal codice civile.

lunedì 19 febbraio 2024

Va specificato che la disciplina speciale delle cooperative accetta, altresì, in funzione della analoga esigenza di perseguire lo scopo mutualistico, il possibile coinvolgimento di ulteriori categorie di soci, purché nel rispetto delle ipotesi e nei limiti previsti dalla legge; come, ad esempio, quella di socio in categoria speciale, di socio volontario, di socio finanziatore, di socio detentore di strumenti di finanziamento propri dell’istituto cooperativo e infine di socio “tecnico-amministrativo”. Nondimeno, alle condizioni giustificate dai contesti previsti, non è da escludere l’ipotesi di rinvenire in cooperativa la partecipazione di soci prossimi al primo impiego; nonché, di soci temporaneamente non attivi, i quali, pur avendo concluso - per cause non imputabili agli stessi- l’attività lavorativa, conservano comunque titolo a restare soci fintantoché l’assemblea non proceda all’“approvazione del bilancio relativo all’esercizio nel corso del quale si è verificata la cessazione del rapporto lavorativo”. Solo da quel momento, infatti, può cessare anche la qualifica di socio, in quanto può essere interrotta a buon diritto la ricerca “di nuove commesse e occasioni di lavoro”, nel tentativo di assicurarne plausibilmente il reimpiego.

 

Ulteriormente, eliminata la possibilità di istituire nelle società cooperative l’amministratore unico, una serie di provvedimenti ha assicurato che il CdA sia formato a maggioranza da componenti eletti in rappresentanza dei soci muniti dei requisiti necessari a favorire l’autogoverno dell’impresa. In pratica, i soci, eletti nel CdA, devono analogamente partecipare alle vicende societarie e allo scambio mutualistico. Diversamente, come avvertito dal Ministero competente, non è esclusa l’ipotesi di “alterazione del funzionamento democratico dell’ente” (Mise, nota n. 5457 del 10 gennaio 2020).

 

Prima di entrare in argomento, appare opportuno richiamare il parere che la Commissione centrale per le cooperative espresse nella seduta del 13 gennaio 2017. In quella occasione la Commissione esaminò il caso del tutto particolare della separazione della condizione di mutualità dai principi di economicità dello scambio, impliciti negli articoli 2512 e 2513, cod. civ.; e giunse, per motivi pratici, a giustificare la possibilità di valutare quantitativamente lo scambio mutualistico intercorso con i soci, assimilando, al costo del lavoro sostenuto per gli addetti, soci e non soci, l’indennità di funzione percepita dall’allora socio, amministratore unico, privo, però, di rapporto lavorativo ai sensi della L. 142/2001. Venne considerato, in effetti, che la coincidenza dei 2 poteri, amministrativo e deliberativo, concentrati nel socio medesimo, ne avrebbe tecnicamente impedito l’eventuale istituzione di un rapporto di lavoro.

 

Differentemente dalla fattispecie appena descritta, l’odierno CdA di una cooperativa può essere formato, oltreché da soci mutualisticamente attivi, ai sensi dell’articolo 2513, cod. civ., e da soci che sono legalmente privi di scambio mutualistico [soci sovventori (articolo 4, L. 59/1992); soci azionisti di partecipazione cooperativa (articolo 5, L. 59/1992); soci volontari (articolo 2, L. 381/1991); soci temporaneamente privi di scambio mutualistico (Mise, nota n. 5457 del 10 gennaio 2020)], anche da soci incaricati di svolgere funzioni specialistiche di gestione tecnico-amministrativa. Nel conteggio dello scambio mutualistico è corretto, infatti, valutare la retribuzione o il compenso convenuti per l’incarico specialistico, avendo attenzione a separarne gli importi da quelli pattuiti in relazione a ruoli funzionalmente esterni alla mutualità. Infatti, tali ultimi compensi saranno da considerare diversamente, ai sensi dell’articolo 2389, comma 3, cod. civ., in rapporto alla distinta ipotesi di conferimento di cariche speciali, nonché, ai sensi dell’articolo 2364, comma 3, cod. civ., in rapporto agli ordinari compiti istituzionali di consigliere di amministrazione.

 

Nel suo complesso, il consiglio di amministrazione di una società cooperativa deve essere formato a maggioranza da soci cooperatori, ai sensi dell’articolo 2542, comma 3, cod. civ.. Il Ministero competente avverte, fra l’altro, l’Autorità di vigilanza, che dovrà essere vagliata anche l’ipotesi in cui il socio eserciti, con apparente legittimazione, la carica di consigliere di amministrazione nel caso in cui sia sprovvisto degli specificati requisiti mutualistici. In buona sostanza, appurato che per ciascuno dei soci devono sempre esistere la partecipazione alle vicende societarie e allo scambio mutualistico, nonché l’esercizio dei diritti amministrativi e patrimoniali, oltre al contributo al perseguimento degli scopi mutualistici d’impresa, deve essere verificato anche che risultino sempre presenti i requisiti conformi allo scopo mutualistico e all’oggetto sociale anche per l’accettazione della carica di consigliere. Contrariamente, il CdA non regolare, cioè privo dei requisiti qualificanti richiesti dalla legge, corre il rischio di assumere, pur risultando formalmente adempiente ai propri doveri, delibere non legittime ed esposte a possibilità di annullamento causato dalla carenza dei presupposti convalidanti la formazione legittima della volontà consiliare.

 

Per esempio, le cooperative di produzione lavoro devono possedere, ai sensi dell’articolo 2542, cod. civ., un CdA formato a maggioranza da soci cooperatori, i quali, nello specifico, sono mutualisticamente legati alla cooperativa da “un ulteriore e distinto rapporto di lavoro”, costituito anche “successivamente all'instaurazione del rapporto associativo”. La disciplina che, da tempo, ha reso obbligatorio il CdA non impedisce di concentrare in capo al socio, contemporaneamente lavoratore, l’ulteriore carica di consigliere di amministrazione. Nell’impresa medio-grande, come nell’impresa di piccole dimensioni, semplificata dal punto di vista organizzativo, non è infrequente riscontrarne pure il cumulo di “particolari cariche in conformità dello statuto”, aggiunte a quelle genericamente previste dal ruolo organico. Nondimeno, un consigliere può essere anche affidatario di rilevanti incarichi tecnico-amministrativi; estranei anche al ruolo che ne contraddistingue le funzioni genericamente comprese nei rapporti usuali di lavoro. Sono, però, necessari alcuni accorgimenti. È possibile, infatti, che la prestazione di lavoro del socio sia eventualmente cumulata all’ulteriore potere di direzione, di controllo, di disciplina, “diretto a formare la volontà dell’ente” (Inps, messaggio n. 12441/2011), pertinente alla carica di consigliere (Inps, messaggio n. 3359/2019), a condizione, però, che ne sia garantita la subordinazione a una controparte sovraordinata (il CdA quale organo collegiale), almeno in materia di direzione e gestione del personale. Vi sono, fra l’altro, pronunciamenti della Cassazione, secondo cui detta coincidenza di ruoli è accettata se, “in concreto”, il lavoratore subordinato è assoggettato a un “effettivo potere di supremazia gerarchica e disciplinare”, svolgendo, in ambito lavorativo, mansioni distinte da quelle di direzione e di controllo, proprie del consigliere dell’impresa amministrata (come, Cassazione n. 1316/1985, n. 5944/1991, n. 11119/1993, n. 9368/1996 e n. 11161/2021). Non è escluso, peraltro, che il socio, lavoratore subordinato - soggetto alle direttive, agli ordini e ai controlli impartiti dal CdA quale datore di lavoro - svolga un incarico, esercitato nella forma speciale e “attenuata del lavoro dirigenziale” (ancora, Inps, messaggio n. 12441/2011), pur non essendo nominato consigliere di amministrazione.

 

Anche, per esempio, le cooperative sociali - organizzate, quasi sempre, anche in forma di cooperative di produzione lavoro, almeno in relazione all’esigenza di perseguire lo scopo mutualistico di “procurare beni o servizi a soggetti appartenenti a particolari categorie anche di non soci” (articolo 2520, comma 2, cod. civ.) - sono obbligate dalla corrispondente disciplina a regolare in modo conforme la composizione del CdA. In generale, i soci con cui la cooperativa ha istituito il legame lavorativo di scambio mutualistico, previsto dall’articolo 2513, cod. civ., comma 1, lettera b) e c), sono coloro fra i quali l’assemblea può, a norma dell’articolo 2542, cod. civ., individuare candidati idonei e disponibili ad assumere l’eventuale carica di consigliere. Non è esclusa, tuttavia, l’ipotesi che, soci appartenenti a categorie alternative a quella tipica dei lavoratori, come, ad esempio, i soci fruitori, stante la conformazione della cooperativa, possano rientrare fra i possibili candidati alla carica di CdA, avendo la cooperativa in questione istituito quei rapporti mutualistici di scambio previsti dall’articolo 2513, comma 1, lettera a), cod. civ.

 

Sono, però, necessari alcuni accorgimenti, in particolar modo, nell’ipotesi in cui il CdA, appartenga alla categoria dei soci volontari, di fatto privi di obblighi determinanti, ma ugualmente titolati a effettuare, oltre alle “attività di interesse generale, costituenti l’oggetto sociale dell’ente”, anche “l’attività relativa all’esercizio della titolarità di una carica sociale, in quanto strumentale all’implementazione dell’oggetto sociale dell’ente” (Ministero del lavoro, nota n. 6214 del 9 luglio 2020). In primo luogo, la “carica sociale” deve essere accettata a titolo gratuito, in quanto, come risaputo, il socio volontario non ha alcun diritto alla retribuzione, né alcun diritto al compenso per l’attività prestata (Ministero del lavoro, nota n. 10979 del 22 ottobre 2020). Il socio volontario non ha, infatti, diritto a percepire alcun compenso a titolo d’indennità, nemmeno nella circostanza in cui, ad esempio, oltreché titolare della già menzionata “carica sociale” è, nell'interesse della società, affidatario di “particolari cariche in conformità dello statuto”.

 

In secondo luogo, non si può non precisare quanto indicato di recente dalla direzione generale del Mimit, con nota ai revisori, prot. n. 0104669 del 3 aprile 2023 - di orientamento opposto alla circolare Mlps n. 116/1992, in cui il Ministro, affermando il contrario, citò la “prestazione lavorativa” resa gratuitamente dal socio volontario - secondo cui “i soci volontari non possono essere considerati al pari dei soci cooperatori”. “Conseguentemente, non possono costituire la maggioranza dei componenti dell’organo amministrativo se non in violazione dell’articolo 2542, comma 3, cod. civ. sopra citato”, pur considerando che, come ulteriormente precisato, “i soci volontari, che prestano gratuitamente la loro opera di lavoro in favore della cooperativa al fine di contribuire al raggiungimento degli scopi sociali della medesima, è indubbio che possano essere nominati consiglieri in numero tale da non violare il precetto contenuto dal comma 3 dell’articolo 2542”.

 

Per altro verso, la qualifica “ope legis” di impresa sociale, ai sensi dell’articolo 1, comma 4, D.Lgs. 112/2017, non grava sulla struttura del CdA di cooperativa sociale, regolata pur sempre dalla L. 381/1991, che, pertanto, resta svincolata dagli obblighi altrimenti previsti per la generalità dell’impresa sociale, sia in materia di nomina dei componenti le cariche sociali (articolo 7, comma 1, D.Lgs. 112/2017), sia in rapporto ai corrispondenti requisiti di onorabilità, professionalità, indipendenza (articolo 7, comma 3, D.Lgs. 112/2017). Questi ultimi sono applicati, invece, “con riferimento agli eventuali soggetti esterni cui vengano attribuite, nella misura di cui alla normativa vigente e se previsto negli statuti, cariche sociali in ragione della loro utilità al governo dell’impresa” (nota congiunta Mise-Mlps, 31 gennaio 2019). In tal caso la cooperativa sociale può deliberare, semplicemente in sede regolamentare (articolo 2521, cod. civ.), i requisiti di terzi costituenti la minoranza del CdA, per i quali vige la disciplina in parola.