23A. Per le società cooperative, i ristorni, di cui all’articolo 2545-sexies del codice civile, sono iscritti tra i debiti quando, nel rispetto dei criteri previsti dall' atto costitutivo, dallo statuto e/o dal regolamento, di cui all’articolo 2521 del codice civile, sussiste un’obbligazione alla data di chiusura dell’esercizio in capo alla società alla ripartizione dei ristorni. La contropartita del debito è imputata a conto economico in base alla tipologia del ristorno come rettifica di ricavo o come costo in base alla sua natura.
23B. Se alla data di chiusura dell’esercizio non sussiste un’obbligazione alla ripartizione dei ristorni ai soci ai sensi del paragrafo precedente, i ristorni sono contabilizzati secondo le modalità previste per la distribuzione dell’utile nel momento in cui, in conseguenza della delibera assunta dall’assemblea dei soci, sorge l’obbligo in capo alla società alla ripartizione dei ristorni.
Innanzitutto si ricorda che il ristorno è l’istituto giuridico caratterizzante le società cooperative in quanto rappresenta la modalità per assicurare il vantaggio mutualistico ai soci. Per quanto riguarda il suo trattamento contabile, l’OIC ha previsto due metodi di contabilizzazione quindi è indispensabile che nello statuto e/o nel regolamento sia indicato quale dei due si decide da adottare, ovvero:
- ristorno come componente del conto economico, oppure
- ristorno come destinazione dell’utile d’esercizio.
Nel caso di adozione del primo metodo, si presuppone l’esistenza di un obbligo della cooperativa ad erogare il ristorno ai soci che deve essere regolamentato/limitato attraverso l’individuazione di specifiche condizioni che ne precludano la ripartizione. Affinchè i ristorni possano essere contabilizzati per competenza, quindi, bisogna prevedere le clausole condizionali (sulla base di specifici indici patrimoniali, finanziari ed economici) che permettono /vietano la ripartizione e i criteri poi per ripartirli.
Nel caso di adozione del secondo metodo invece, non sussiste un obbligo alla ripartizione dei ristorni ai soci, ma l’eventuale ripartizione è rimessa alla discrezionalità del consiglio di amministrazione e dell’assemblea dei soci, che poi li contabilizzeranno secondo le modalità previste per la distribuzione dell’utile.
Da ultimo è stato pubblicato un documento congiunto dell’Alleanza delle Cooperative Italiane e del CNDCEC dove, oltre ad approfondire i lineamenti professionali ed operativi del “nuovo principio contabile cooperativo”, sono state evidenziate le conseguenze giuridiche e tributarie collegate al diverso metodo di contabilizzazione dei ristorni che si riportano qui di seguito.
A. La scelta tra i due metodi non produce alcun effetto divergente con riferimento al calcolo del limite massimo dell’avanzo di gestione mutualistica “ristornabile” ai soci.
B. Egualmente, la scelta tra i due metodi non produce effetti differenti neppure per quanto riguarda la determinazione del contributo del 3% degli utili netti annuali da versare ai fondi mutualistici ai sensi dell’art. 11, cc. 4 e 6, L. 31 gennaio 1992, n. 59 (fatto salvo quanto precisato alla lettera D).
C. Per contro, i metodi di imputazione producono conseguenze diverse per quanto concerne il calcolo della percentuale di attività mutualistica ai sensi dell’art. 2513 c.c.. Poiché tale modalità di calcolo si basa su voci di conto economico (a seconda della tipologia di cooperativa A1, B6, B7 o B9), il calcolo della percentuale sarà influenzato dai ristorni esclusivamente in caso di imputazione a conto economico.
D. Parimenti, i diversi metodi di imputazione non sono neutrali con riferimento all’obbligo di destinazione del trenta per cento degli utili netti annuali alla riserva legale ai sensi dell’art. 2545-quater, primo comma, c.c.. Infatti, detto obbligo di destinazione, dovendo operare a monte di qualunque diversa appostazione, non consentirà di detrarre dalla base di calcolo la quota dei ristorni deliberati in sede di destinazione dell’utile. Quindi, a pari ammontare delle somme ristornate, adottando la contabilizzazione dei ristorni a conto economico, la destinazione a riserva legale risulterà sempre più bassa rispetto al metodo della rilevazione in sede di distribuzione dell’utile. L’importo destinabile a ristorno con imputazione a conto economico potrà, in determinati casi, risultare maggiore di quello “prelevabile” dall’utile, in quanto quest’ultimo verrà appunto ridotto dell’importo destinato a riserva legale. Come corollario, nel caso in cui l’importo del ristorno imputato a conto economico risulti più elevato di quello “prelevato” dall’utile, avremo un differente importo del contributo del 3% degli utili netti annuali da versare ai fondi mutualistici ai sensi dell’art. 11, cc. 4 e 6, L. 31 gennaio 1992, n. 59.
E. Quanto alle conseguenze in tema di imposizione sui redditi (IRES):
i. in primo luogo, vige la regola generale della deducibilità dei ristorni dal reddito imponibile della cooperativa (di cui è corollario l’art. 12, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 60120);
ii. in secondo luogo, anche qualora fossero contabilmente rilevati in sede di destinazione dell’utile (e non imputati a conto economico), i ristorni “non costituiscono dividendi e si distinguono da questi ultimi in quanto sono attribuiti in proporzione al valore dello scambio mutualistico tra soci e cooperativa e non in base al capitale conferito da ciascun socio” (Agenzia delle Entrate, circolare 35/2008);
iii. in terzo luogo, la natura dei ristorni di cooperativa e le ragioni del loro trattamento tributario non mutano in funzione della diversa modalità di contabilizzazione (imputazione a conto economico o prelievo dall’utile). Esiste, quindi, un principio di neutralità o irrilevanza fiscale delle modalità di contabilizzazione dei ristorni, costituenti sempre una componente deducibile dal reddito, sia in caso di imputazione dei medesimi a conto economico, sia in ipotesi di rilevazione in sede di distribuzione dell’utile (Agenzia delle Entrate, Circolare 35/2008);
iv. inoltre, alla luce della diversa natura dei ristorni rispetto agli utili e dell’irrilevanza fiscale dei metodi di contabilizzazione, anche nel caso in cui i ristorni fossero deliberati in sede di destinazione dell’utile, non si applicano i limiti minimi di imposizione degli utili delle cooperative imposti dall’art. 1, cc. 460-466 e 468, legge 30 dicembre 2004, n. 311, dacché “il ristorno ai sensi dell’articolo 2545 sexies ha una disciplina distinta rispetto a quella dell’utile e pertanto non rientra nella nozione di “utile netto” recata dal citato comma 460 (…). Qualora la cooperativa attribuisca l’avanzo derivante dall’attività con i soci senza transitare a conto economico e quindi deduca i ristorni dal reddito imponibile mediante una variazione in diminuzione, ai sensi del citato articolo 12 del DPR n 601 del 1973 l’esclusione dal reddito imponibile dei ristorni espressamente riconosciuta dal citato articolo 12 opera in via prioritaria rispetto alla previsione contenuta nel comma 460 della legge finanziaria 2005” (Agenzia delle Entrate, Circolare 35/2008);
v. infine, ai fini della determinazione della competenza, rileva l’esercizio con riferimento al quale sono maturati gli elementi di reddito presi a base di commisurazione dei ristorni (art. 12, d.P.R. 601/1973; Agenzia delle Entrate, circolare 18 giugno 2002, n. 53/E)21 .
F. Quanto al trattamento dei ristorni ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), la questione è stata da ultimo affrontata e risolta dall’amministrazione finanziaria (Agenzia delle Entrate, Risposta a consulenza giuridica richiesta dall’Alleanza delle Cooperative Italiane n. 956–37/2022) che – confermando la medesima natura del ristorno a prescindere dal diverso trattamento contabile – ha altresì ribadito, richiamando il c. 2 dell’art.2 del DM/2011, che il ristorno “contabilizzato alla stregua di distribuzione di utili” concorre alla formazione della base imponibile IRAP allo stesso modo del ristorno “imputato a conto economico”, riconoscendo così il diritto della cooperativa alla deduzione dei ristorni dal valore della produzione IRAP a prescindere dal trattamento contabile adottato.
G. Infine, con riferimento alle sole cooperative di lavoro, esiste altresì il principio di equiparazione degli importi corrisposti a titolo di ristorno ai soci lavoratori ai cd “premi di produttività”. Più precisamente, i ristorni erogati ai soci lavoratori di cooperative di cui all’art. 1, legge 3 aprile 2001, n. 142, possono essere ammessi al beneficio fiscale previsto per i premi di risultato dall’art. 1, cc. 182-189, legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Agenzia delle Entrate, circolare n. 28/E/2016). Tali conclusioni sono state confermate da ultimo da Agenzia delle Entrate, risposta ad interpello 5 aprile 2023, n. 284, ove si chiarisce che il trattamento fiscale agevolato spetta anche alle somme erogate a titolo di ristorno “a prescindere dagli incrementi di produttività, redditività, qualità, efficienza ed innovazione” e a nulla rilevando le modalità di rappresentazione contabile dello stesso .