Patto di prova nullo se non accompagnato da una descrizione chiara e specifica delle mansioni.
Corte d’appello di Milano. Sentenza 6 marzo 2023
La Corte d’appello di Milano riporta al centro dell’attenzione un aspetto molto importante e troppo spesso trascurato, quello dei requisiti necessari affinché il patto di prova possa essere validamente applicato.
La controversia decisa dalla Corte era stata promossa da un lavoratore assunto con mansioni di «impiegato capo area» e periodo di prova della durata di cinque mesi. Questo dipendente era stato licenziato per mancato superamento della prova, ma aveva impugnato il licenziamento per nullità dello stesso patto con cui era stata prevista la prova in quanto, a suo dire, era mancata la descrizione delle mansioni nel contratto di assunzione e durante il periodo in cui concretamente si era svolto il rapporto di lavoro.
La Corte d’appello ha accolto l’impugnazione del lavoratore, ritenendo nullo il patto di prova apposto al contratto per genericità delle mansioni indicate. A sostegno di questa decisione la Corte richiama l’orientamento della Cassazione, secondo il quale il patto di prova deve contenere la specifica indicazione delle mansioni che ne costituiscono l’oggetto; è ammesso il rinvio al contratto collettivo solo se il richiamo sia sufficientemente specifico (sentenza 1099/2022), con la conseguenza che se nella declaratoria contrattuale ci sono diversi profili per lo stesso livello, bisogna indicare con precisione a quale si fa riferimento.
Questa indicazione specifica, prosegue la sentenza, è un presupposto indispensabile affinché il datore di lavoro possa esprimere validamente la propria insindacabile valutazione in merito all’esito della prova. Quindi, se una categoria prevista dal contratto collettivo accorpa più di un livello professionale, è necessario fare riferimento, nel patto di prova, al singolo e specifico profilo, onde evitare di cadere nel vizio di genericità. Nel caso rimesso alla valutazione della Corte la categoria di «capo area» assegnata al lavoratore non era neanche prevista nel livello contrattuale assegnato allo stesso e, in ogni caso, a quel livello corrispondevano ben 17 differenti profili professionali. Una situazione che, ad avviso della Corte, determina un vizio genetico del patto di prova, che è nulla sin dall’inizio e determina la conversione (in senso atecnico) del rapporto in prova in un ordinario rapporto a tempo indeterminato, che può essere interrotto solo applicando il regime ordinario in materia di licenziamenti.
La Corte, infine, precisa quali sono le conseguenze applicabili al licenziamento: considerato che il rapporto è soggetto al Dlgs 23/2015 (le norme sul contratto a tutele crescenti) viene ritenuto applicabile quanto previsto dall’articolo 2 del decreto, che sanziona i licenziamenti viziati da nullità con la reintegrazione e il risarcimento pari a tutte le retribuzioni non percepite dal recesso fino alla ripresa del lavoro.
Legittimo l’affidamento sul corretto utilizzo della carta di credito aziendale
Corte di Cassazione Ordinanza n. 7467 del 15 marzo 2023
Il rapporto di lavoro è basato sul patto di reciproca fiducia, il quale permette di evitare un controllo assiduo del datore di lavoro sul dipendente. Nel caso di specie, secondo la Cassazione, il datore di lavoro ha licenziato legittimamente la sua dipendente, poiché in seguito al bilancio annuale si è reso conto che la stessa sosteneva spese personali con la carta di credito aziendale. Il datore di lavoro non ha provveduto a controllare mensilmente i giustificativi di spesa consegnati dalla lavoratrice, tuttavia, secondo i giudici, non è imputabile il legittimo affidamento posto dal datore sul corretto utilizzo degli strumenti di lavoro da parte della dipendente.
Fatti ripresi dalla telecamera: legittima la sanzione
Corte di Cassazione Ordinanza n. 8375 del 23 marzo 2023
La Corte di Cassazione ha ritenuto proporzionata la sanzione di sospensione dal servizio e dalla retribuzione per un periodo pari a 10 giorni, applicata all’insegnante che trascina dalla maglietta uno studente, comportando la caduta di quest’ultimo. Il fatto è ripreso dalle telecamere di videosorveglianza ed il relativo video è legittimamente utilizzabile come prova, in quanto non si ritiene violato l’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori. Infatti la telecamera è installata per motivi di sicurezza ed è rivolta verso spazi accessibili anche al personale non dipendente, ovvero collocata in base a un accordo sindacale.