Giurisprudenza del lavoro

Giurisprudenza del lavoro

Riportiamo alcune recenti pronuce giurisprudenziali in materia giuslavoristica.

[EasyDNNnews:IfExists:Event]

[EasyDNNnewsLocalizedText:Eventdate]:

[EasyDNNnews:EventDate]

[EasyDNNnewsLocalizedText:ExportEvent]

[EasyDNNnews:EndIf:Event]
[EasyDNNnews:Categories]
lunedì 20 marzo 2023

Cassazione: computo delle assenze nel periodo di comporto

Corte di Cassazione. Ordinanza n. 6336 del 2 marzo 2023

 

La Cassazione ha affermato che nel licenziamento per superamento del periodo di comporto il datore non è obbligato a specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive. Tuttavia anche sulla scorta di quanto previsto dall’articolo 2 della legge n. 604/1966, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, la motivazione deve essere idonea ad evidenziare il superamento del comporto in relazione alla disciplina contrattuale applicabile, dando atto del numero totale delle assenze verificatesi in un determinato periodo, fermo restando l’onere, nell’eventuale sede giudiziaria, di allegare e provare, compiutamente, i fatti costitutivi del potere esercitato.

 

Rifiuto del lavoratore di adempiere

Corte di cassazione. Sentenza 12 gennaio 2023, n. 770

 

Il rifiuto del lavoratore di adempiere la propria prestazione attenendosi alle modalità indicate dal datore di lavoro può giustificare il licenziamento per giusta causa, salvo il caso in cui il rifiuto medesimo sia improntato a buona fede. L'assunto, peraltro, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (sezione lavoro, 12 gennaio 2023, n. 770) vale anche quando i provvedimenti datoriali non seguiti siano illegittimi.

A operare, infatti, è l'articolo 1460 del codice civile e, in particolare, il secondo comma, per il quale la possibilità per la parte adempiente di rifiutarsi di eseguire la prestazione a proprio carico sussiste solo se il rifiuto, tenuto conto delle circostanze del caso concreto, non risulti contrario a buona fede.

Nel caso trattato è stato contestato al datore di lavoro di non adempiere al proprio obbligo di proteggere i dipendenti rispetto ai comportamenti minacciosi di terze persone o che comunque i dipendenti medesimi abbiano percepito come tali secondo un atteggiamento di buona fede. In tal caso, l'inadempimento del dipendente che esegua la prestazione in maniera non conforme alle modalità prescritte dalla parte datoriale deve ritenersi legittimo.

 

 

Infortunio sul lavoro: responsabilità solidale negli appalti

Corte di Cassazione Ordinanza n. 375 del 10 gennaio 2023

 

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 375 del 10 gennaio 2023, ha chiarito il tema della responsabilità del committente e appaltatore nell’ipotesi di infortunio sul lavoro.

Ciò attiene l’esecuzione di un contratto di appalto in cui, in caso di infortunio di un lavoratore, la responsabilità è in capo all’appaltatore e al committente solidalmente, salvo che l’evento dipenda dai rischi propri dell’attività del lavoratore/ appaltatore. Il committente deve controllare l’adozione delle misure di sicurezza da parte della ditta appaltatrice. Inoltre, se più persone hanno concorso a produrre il danno, ognuno è coobbligato in solido a risarcire interamente il danneggiato, salvo poi il diritto di regresso contro ciascuno degli altri, nella misura determinata dalla gravità della rispettiva colpa.

 

Appropriazione di beni di modico valore e licenziamento per giusta causa

Tribunale  Milano. Decreto 24 luglio 2022 n. 18906

 

Il furto o l'appropriazione di beni aziendali, seppure di valore irrilevante, viene ritenuto idoneo a ledere irrimediabilmente il vincolo fiduciario, in quanto, ai fini dell'accertamento per giusta causa, il licenziamento deve considerarsi sotto il particolare disvalore intrinseco della condotta, indipendentemente dalla modesta entità del danno che ne possa derivare.

 

L’esigenza di maggior efficienza gestionale dell’azienda legittima il licenziamento

Corte di Cassazione Ordinanza n. 1960 del 23 gennaio 2023

 

La Corte di Cassazione, con l’Ordinanza n. 1960 del 23 gennaio 2023, ha ritenuto legittimo il licenziamento del dirigente per giustificato motivo oggettivo, in quanto l’azienda ha soppresso la posizione lavorativa del dipendente per la necessità di modificare l’assetto organizzativo ai fini di un

incremento della reddittività. Tuttavia, in base ad elementi oggettivi, non deve emergere la natura discriminatoria o contraria a buona fede della riorganizzazione, quale motivo addotto dal datore di lavoro.

 

Le parolacce al capo comportano al massimo sanzioni conservative

Corte di Cassazione Ordinanza n. 4831 del 16 febbraio 2023

 

La Corte di Cassazione, con Ordinanza n. 4831 del 16 febbraio 2023, ha stabilito che l’utilizzo di un linguaggio volgare da parte di un dipendente nei confronti dei superiori non è punibile con la sanzione più grave, ossia col licenziamento. Seppur, nel caso di specie, il comportamento accertato è da ritenersi illecito, per i giudici della Suprema Corte si ravvisa una sproporzione tra la condotta e la conseguenza sanzionatoria; il lavoratore rischia al massimo una sanzione conservativa. Dunque, il datore di lavoro è obbligato a corrispondere il risarcimento del danno e a reintegrare sul posto di lavoro l’impiegato illegittimamente licenziato